Virus, sos ragazzi autolesionisti
Lo psicologo: «Non tutta colpa della dad»

Virus, sos ragazzi autolesionisti Lo psicologo: «Non tutta colpa della dad»
di Luca Benedetti
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Venerdì 26 Marzo 2021, 08:26


PERUGIA «Venerdì abbiamo avuto un incontro con tutti i colleghi di Sert, Centro salute mentale e dell’Età evolutiva: siamo molto preoccupati per gli alert che arrivano sul fronte degli adolescenti».
Giovanni Mancini (foto tonda) è il coordinatore dell’area funzionale psicologia aziendale della Asl 1. Fa i conti con un anno di Covid, tra incubo malattia, lockdown, zone rosse, paure di malati e operatori sanitari. Il quadro che ne esce è complesso. I servizi si misurano con nuovi problemi e con la necessità di dare nuove risposte, non solo in prospettiva di un’emergenza ancora in atto.
Dottor Mancini che cosa avete visto lei e i suoi colleghi per quanto riguarda gli adolescenti?
«Siamo preoccupati per le situazioni che arrivano a interessare i servizi. Crescono gli atti di autolesionismo, proprio tra gli adolescenti. Cresce il numero di quelli che si tagliano. E sperimentiamo anche un altro fatto: l’isolamento. Restano chiusi in casa e giocano in rete o ai videogame tante ore. È la cosiddetta sindrome hikikomori. C’è un concreto rischio di dipendenza. Con una particolarità».
Quale?
«Che si abbassa l’età di chi entra in contatto con i nostri servizi. Quello che prima accadeva nella fascia di età 16-18 anni, ora scende in quella da 12 a 14. Certo, le chiusure da zone rosse non aiutano».
Dottor Mancini, tutta colpa della Dad?
«Calma, calma. Le cose che noi viviamo assumono un peso anche in base a come vengono lette. I nostri progenitori hanno superato la Spagnola, due guerre mondiali e ci hanno portato fin qui. A volte vanno fatte vivere le cose ai ragazzi senza drammatizzare. Dobbiamo tirar fuori la resilienza, facendo il conto su quello che il mondo ci offre. Non deve passare il messaggio ai giovani tipo “la tua vita sarà finita” o cose di questo tipo. Questo acuisce soltanto il pessimismo del ragazzino. C’è la Dad? È la condizione del momento, viviamola in maniera equilibrata. Piuttosto per la scuola ci preoccupa altro».
Che cosa?
«La cosiddetta fobia scolare. Con i bambini non più abituati ad andare a scuola, per loro potrebbe essere più difficile uscire di casa e riprendere le abitudini. Anche qui dipende dall’approccio. Meglio far vivere la scuola come un gioco che come un dovere legato a una prestazione».
Dottor Mancini, un anno fa la Asl 1 ha attivato un servizio di assistenza psicologica per il personale sanitario e per i malati Covid che stavano in casa. Cosa avete rilevato?
«Abbiamo avuto tante segnalazioni dal personale che lavora nei reparti Covid e nei reparti grigi, da Usca e personale delle Rsa»
Cosa è emerso?
«Abbiamo, durante la prima fase della pandemia, somministrato tre questionari a 900 persone. Quelli validi sono stati 185. Abbiamo valutato l’ansia, la salute e l’impatto dell’evento stressante».
Che risultati avete rilevato?
«L’ansia è assente nel 40% dei casi, nel 28 è lieve, nel 18 moderata e 12 severa. Significa che il 30% degli intervistati ha vissuto una situazione di ansia. Sul fronte salute il 46% ha avuto i sintomi sotto soglia, il 30% non ha problemi, il 14 % una depressione lieve, il 6% moderata e 4% severa. Fra lieve, moderata e severa c’è un 28% di persone che si sentono depresse. Sono autovalutazioni, ma hanno un valore. Per quanto riguarda l’impatto stressante il 36% degli intervistati ha avuto un impatto, per il 64% è assente. Significa che loro riconoscono di essere molto stressati relativamente al come gestire le diverse situazioni, dai rischi, all’organizzazione del lavoro, al rapporto con il paziente grave».
E per i malati Covid in quarantena a casa?
«L’accesso al servizio (coordinamento.psicologi@uslumbria1.it.)ha seguito l’andamento dell’epidemia. Tante chiamate la scorsa primavera, molte meno in estate e sono riprese in autunno. Ogni persona che ci ha chiamato, se non c’era la necessità di avviarla a un servizio specifico, l’abbiamo sentita 4 volte. Abbiamo avuto casi di ansia che hanno amplificato i sintomi. Per esempio il respiro corto. Abbiamo cercato di normalizzare la situazione, riducendo la componente legata all’ansia. Abbiamo cercato di dare strumenti per attingere a risorse positive».

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