Un anno dalla morte del piccolo Alex, in attesa del processo. «La mamma ha premeditato l'omicidio»

Norbert e il piccolo Alex Juhasz
di Egle Priolo
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Mercoledì 5 Ottobre 2022, 07:10

PERUGIA - Un anno e quattro giorni. Tanto è passato dalla morte di Alex Juhasz, il piccolo di poco più di due anni, ucciso a coltellate in una vecchia centrale a Po' Bandino. Il suo corpicino martoriato da un coltello, adagiato dalla madre sulla cassa di un vicino supermercato e i clienti a scoprire l'orrore in quel terribile pomeriggio di un primo ottobre assolato. E per quella morte, il sostituto procuratore Manuela Comodi ha firmato l'avviso di conclusione indagini recapitato a Katalina Erzsebet Bradacs, la mamma di Alex, nel carcere di Capanne in cui è rinchiusa da poche ore dopo l'omicidio.

La donna, 44enne di origini ungheresi che – secondo la ricostruzione di procura e carabinieri – era scappata con il bambino dall'Ungheria appena il tribunale aveva concesso l'affidamento del piccolo al padre Norbert, all'inizio ha negato ogni accusa, parlando anche di un fantomatico uomo straniero che avrebbe potuto uccidere Alex, per poi confermare in qualche modo le contestazioni ma puntando su una sua infermità mentale. Infermità, almeno totale, che invece la seconda perizia richiesta dal pm Comodi ha negato. In quasi cento pagine di perizia, infatti, i professori Marco Marchetti, Mariano Cingolani e Francesca Baralla hanno chiuso le porte all’ipotesi di incapacità di intendere e di volere - e quindi di non incriminabilità – di Bradacs: il collegio peritale ha evidenziato invece come l’uccisione del bambino fosse stata più volte minacciata dalla madre, che poi avrebbe posto in essere anche alcuni depistaggi, compreso il cellulare reso inutilizzabile dopo l'invio di messaggi a parenti e amici dopo l'omicidio. I periti hanno quindi ritenuto che la consapevolezza dell’azione sia stata molto elevata, evidenziandone una possibile riduzione in relazione al suo stato psichico complessivo al momento dell’omicidio, che però non sarebbe stato possibile valutare in concreto per un rifiuto della donna a un’indagine specifica del suo stato mentale durante i fatti che le si contestano. «In mancanza di una sufficientemente precisa ricostruzione da parte di Katalina Erzsebet Bradacs, del suo stato mentale, al momento del fatto – si legge infatti nella lunga perizia del collegio nominato dal gip Angela Avila -, si può, al massimo ipotizzare una parziale influenza del quadro psicopatologico individuato, nel prodursi dell’omicidio del figlio che, in termini forensi, si può tradurre nella possibile presenza nell’indagata, al momento del fatto, di una grandemente scemata, ma non esclusa, capacità di intendere e di volere». I periti, quindi, in maniera difforme rispetto a una prima perizia che virava sull'incriminabilità, concludevano sottolineando la consapevolezza e la elevata pericolosità sociale della madre.
Da qui, l'accusa della procura che resta di omicidio volontario aggravato, compiuto anche – scrive Comodi – con premeditazione. Un'ipotesi scioccante, figlia della fuga in Italia e di tutti i comportamenti messi in campo una volta arrivati tra Toscana e Umbria, che fa male anche solo a immaginare.
Adesso la donna, difesa dall'avvocato Enrico Renzoni, aspetta solo la richiesta di rinvio a giudizio e quindi la fissazione dell'udienza.

Norbert Juhasz, invece, assistito dall'avvocato Massimiliano Scaringella, vive da oltre un anno senza l'abbraccio del suo piccolo Alex, dopo che una lunga battaglia legale lo aveva finalmente affidato a lui. Strappato invece dalle sue braccia da sette coltellate a collo, torace e addome. Un dolore infinito che nessuna sentenza, comunque, potrà mai alleviare.

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