Umbria, il Pil cresce del 7,1%. Ma tra "nero" e attività illegali il sommerso vale il 14% del valore aggiunto

I dati Istat danno in crescita il Pil dell'Umbria
di Fabio Nucci
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Giovedì 29 Dicembre 2022, 08:11

Le stime preliminari 2021 confermano il buon posizionamento della regione rispetto a Pil, reddito disponibile e consumi. Una solida base dove poggiare le incertezze di questo anno che si chiude e le prospettive del 2023 nel quale si attende un ridimensionamento della crescita. Consistente l’incidenza del sommerso che vale quasi il 14% del valore aggiunto prodotto nella regione.
Il report Istat sui conti territoriali 2019-2021 indicano la crescita del Pil al 7,1%, tra le più marcate nel Paese, pur ridotta rispetto alla stima Prometeia di ottobre (+7,9%). Solo Lombardia, Basilicata, Emilia Romagna e Veneto registrano un incremento maggiore, comunque sotto l’8%. «Dati che confermano che l’Umbria è in grado di competere con le regioni del Nord», ha commentato la governatrice Donatella Tesei. «Siamo la quinta regione per crescita del Pil nel 2021, con un aumento di 0,4 punti percentuali sopra la media italiana e un punto sopra quella del Centro Italia». Nel 2021, inoltre, il Pil per abitante è salito a 26.400 euro, lo stesso livello del 2019. Una posizione che consente al Cuore verde di guardare con meno apprensione ai risultati, pur ridimensionati, riferiti al 2022 e a quelli attesi per il nuovo anno. Per il 2022, come elaborato dall’Aur nella Relazione economico-sociale, la crescita è stimata tra il 3,1% di Prometeia e lo 0,7% dello Svimez ma con lo scenario peggiore prospettato (innalzamento dello spread e restrizioni al credito). Per il 2023, proprio l’associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno, tradizionalmente severa nelle previsioni riguardanti l’Umbria, indica una crescita compresa tra l’1,5 e l’1,2% a fronte di un calo dello 0,1% previsto da Prometeia.
Tornando al 2021, l’Umbria si posiziona nella top 10 anche rispetto agli incrementi subiti (sui volumi) dalla spesa per consumi finali delle famiglie, indicata al +5,6% rispetto al +6,2% della Provincia autonoma di Bolzano che rappresenta la performance migliore a livello nazionale. Con un dato medio per abitante di 17.300 euro, la regione è quasi in linea con la media italiana, pari a 17.500 euro, in undicesima posizione considerando le regioni. Un altro elemento positivo arriva dal reddito delle famiglie. “Quello del Centro ha sperimentato una crescita del 3,9%, superiore alla media nazionale, trainata essenzialmente da Lazio (+4,3%) e Umbria (+4,0%); di entità minore l’aumento del reddito in Toscana (+3,5%) e Marche (+3,2%)”.

A livello nazionale, la crescita registrata nella regione è la settima in Italia. Negli ultimi tre anni, inoltre, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è passato da 18.961 a 19.278 euro registrando una crescita del 4,7% rispetto al 2020, con uno switch tra retribuzioni (in salita) e sussidi (in discesa). In aumento anche i redditi da capitale riferiti alle famiglie, passati in un anno da 5.618 a 5.941 euro per abitante. «Numeri che ci permettono di affrontare più solidi il difficile 2023 e di proseguire il nostro percorso di rilancio dell’Umbria», ha commentato la presidente Tesei.
L’Umbria appare più indietro quanto a valore aggiunto, col dato pro capite (riferito al 2020) pari a 22.700 euro in provincia di Perugia, 20.300 euro in quella di Terni che occupano rispettivamente le posizioni 57 e 70, sotto la media nazionale, a 25.300 euro.

Quanto ai settori, il contributo maggiore arriva da Servizi finanziari, immobiliari e professionali (6.200 euro a Perugia, 5.400 a Terni) mentre viaggiano su livelli inferiori simili, Industria, Commercio e Altri servizi. Il report Istat sui conti territoriali ha dedicato una tavola anche all’incidenza dell’economia “non osservata” sul valore aggiunto totale prodotto in Umbria. Con riferimento al 2020, emerge un peso del sommerso e della componente illegale pari al 13,7%, sopra la media nazionale, all’11,6%, e del Centro, al 12%. Il 7% deriva dalla sottovalutazione dei risultati ottenuti dalle imprese (quinto dato più alto nel Paese), il 4,6% dal lavoro irregolare (4,2% la media nazionale), mentre il 2,2% del valore aggiunto prodotto in Umbria è riferibile ad attività illegali, mance o fitti in nero.

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