«Disagio giovanile, il Covid è solo la punta dell'iceberg»

Gianluca Tuteri
di Ilaria Bosi
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Sabato 27 Marzo 2021, 17:18

PERUGIA - Salute mentale e disagio giovanile, il Covid è soltanto la punta dell’iceberg di una piaga «mai affrontata adeguatamente». A porre l’accento sulla necessità di intervenire e di iniziare a trattare in modo strutturato le problematiche che riguardano i minori è il professor Gianluca Tuteri, pediatra di fama, vicesindaco e assessore del Comune di Perugia, con deleghe alla Scuola e alle Politiche Giovanili.

Cosa lascerà a bambini e ragazzi questa pandemia?

Parafrasando il Papa, dico che «anche dal male si può trarre il bene».

Il Covid ha infatti portato alla ribalta un problema già noto, il disagio giovanile: speriamo sia la volta buona per affrontarlo fattivamente.

Qual era la situazione prima del Covid?

Già prima si stimava che in Italia un adolescente su cinque avesse un problema di salute mentale: ora il numero è probabilmente aumentato.

Il problema è stato finora sottovalutato?

Sì, giovani e i bambini soffrono molto di più di quanto la gente pensi. Viene sottovalutata l’influenza delle circostanze attuali sui ragazzi e si ignora quanto, già prima del virus, fosse in pericolo la loro salute mentale.

I disturbi di cui ora si parla erano quindi già presenti?

Sono in assoluto i più frequenti, ma il paradosso è che pochi medici e pediatri hanno una preparazione specifica. La diagnosi, quindi, è spesso tardiva. I genitori sono lasciati soli e, non sapendo dove andare, si organizzano in un pericoloso fai da te.

Siamo di fronte a una questione culturale che richiede una svolta?

Sì, occorre cambiare approccio, puntando di più su queste fasce d’età spesso non considerate. L’intervento è inderogabile.

Qual è, in Umbria, la situazione dei servizi di salute mentale dedicati ai bambini?

Neanche lontanamente sufficiente a soddisfare i loro bisogno. Per non parlare dei posti letto per eventuali ricoveri in ambiente neuropsichiatrico: nessuno in Umbria, appena 92 in tutta Italia.

Cosa possono fare le istituzioni?

Vanno sensibilizzate e stimolate, anche a favorire l’accesso alle cure. L’attuale giunta regionale, rispetto alla precedente, ha riconosciuto che la questione va affrontata.

In che modo?

Definendo interventi in grado di mitigare il più possibile tutti gli effetti negativi fin qui riscontrati e quelli, ad oggi, solo ipotizzabili. Va creata una rete multidisciplinare, pronta a intervenire.

Quali sono le figure da coinvolgere?

Neuropsichiatri infantili, psicologi, servizi educativi e sociali, terzo settore e, ovviamente, pediatri e medici di famiglia. Si deve puntare su prevenzione e individuazione precoce. Serve l’impegno di famiglie, scuola, pediatri e dei medici di famiglia.

Quali sono le politiche da attuare?

La salute, anche mentale, dell’infanzia e dell’adolescenza deve essere al centro delle politiche socio-sanitarie della nostra regione.

E i servizi territoriali di neuropsichiatria?

Vanno rafforzati, potenziando anche la risposta ai casi acuti, sia in regime di ricovero che di accoglienza

in Centri specialistici.

Da dove partire?

C’è da fare molto per (ri)orientare i servizi sui bisogni di salute mentale dei giovani. I pochi esistenti sono caratterizzati da un elevato livello di frammentazione nei metodi, nei luoghi, nelle modalità di interazione. Questo spesso scoraggia le famiglie a chiedere aiuto. Eppure le situazioni di disagio devono avere diagnosi e percorsi precisi, al pari di qualsiasi malattia organica.

ilaria.bosi@ilmessaggero.it

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