Usura ed estorsione a due baristi
condannato imprenditore, indagine
partita da un suicidio

Usura ed estorsione a due baristi condannato imprenditore, indagine partita da un suicidio
di Nicoletta Gigli
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Giovedì 1 Luglio 2021, 08:30

TERNI Cinque anni e due mesi di reclusione e una multa da mille e 500 euro. E il risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, subiti dalle parti civili costituite: la moglie e la figlia di Roberto, già titolare di un noto bar di San Giovanni, deceduto qualche anno fa per una malattia che non gli ha lasciato scampo, e la titolare di un bar di Fornole. E’ la condanna inflitta dal tribunale a Gianni Rossi, 64 anni, di Narni, agente di una nota ditta fornitrice di caffè finito a processo per usura, estorsione e truffa. Per l’accusa, che ha documentato una lunga serie di episodi, Rossi si presentava come un amico pronto a prestare i soldi per “aiutare” le attività in crisi. Una volta acquisito il potere però le sue vittime finivano in un tunnel senza via d’uscita. Le indagini partirono dieci anni fa, dopo il suicidio del commercialista ternano, Gianluca Boninsegni, che si lanciò dal ponte d’Augusto.
Le indagini della Mobile ricostruirono la rete di pressioni, minacce, costrizioni e istigazioni che fecero scattare le manette ai polsi di Rossi, che patteggiò due anni e otto mesi per istigazione al suicidio. Nell’inchiesta all’epoca finì anche il suicidio dell’ex direttore della filiale Unicredit di Narni Scalo, Antonio Venanzi, che due mesi dopo si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola in un parcheggio. In una delle tre lettere Venanzi esprimeva tutto il suo disagio per un’inchiesta nella quale temeva di essere coinvolto. Per gli investigatori della Mobile furono giorni di indagini serrate, con centinaia di conti correnti e di documenti da spulciare. Nel procedimento che vedeva sul banco degli imputati l’imprenditore narnese si erano costituiti parte civile i titolari di tre delle attività travolte da vicende più grandi di loro. In aula il pm, Barbara Mazzullo, ha chiesto l’assoluzione ma il tribunale, presieduto da Rosanna Ianniello, giudici Dorita Fratini e Marco Di Tullio, ha optato per una condanna esemplare. 
«Le persone ancora intimorite hanno continuato a parlare di un benefattore. In realtà si tratta di un distributore di caffè che ha vestito i panni del finto benefattore e che si è avvicinato alle imprese in difficoltà trasformando i proprietari in burattini» dirà in aula l’avvocato Francesca Carcascio, legale della titolare del bar di Fornole costretta a rinunciare agli incassi giornalieri e ad estromettersi dalla società per saldare i debiti.
Il legale ha sottolineato il “ruolo di ammortizzatore sociale dell’imputato nel praticare quello che, in altri ambiti, viene definito welfare di prossimità”. Per Marco Gabriele, legale della moglie e della figlia di Roberto, “una sentenza esemplare ed equilibrata, che finalmente rende giustizia ad una vicenda che per anni ha tinto di scuro il territorio ternano. Riferire alle mie assistite l’epilogo del processo è stata la soddisfazione più grande. 
Anche perché, dietro questo storia giudiziaria, si celava una sofferenza umana terribile” conclude Gabriele.

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