Terni, "Truffa per la cassa covid alla Treofan": Il numero uno di Jindal chiede la messa alla prova e vuole risarcire l'inps

Terni, "Truffa per la cassa covid alla Treofan": Il numero uno di Jindal chiede la messa alla prova e vuole risarcire l'inps
di Nicoletta Gigli
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Giovedì 12 Gennaio 2023, 00:35

TERNI - «Nessuna intenzione di truffare lo Stato da parte del Ceo di Jindal Europe, che non ha messo alcun soldo in tasca. Riteniamo ci siano tutti i presupposti per fare in modo che gli venga concessa la messa alla prova».

Civita Di Russo, che col collega Matteo Moriggi difende Manfred Kaufmann, numero uno di Jindal, esce dall’aula del tribunale di Terni dopo la breve udienza preliminare di fronte al giudice Barbara Di Giovannantonio.

Per Kaufmann, Garg Anorudh, legale rappresentante dell’azienda e il cfo Jain Deepak, assistiti dall’avvocato Niccolò Bertolini Clerici, la procura ternana ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di truffa aggravata ai danni allo Stato legata all’indebita percezione della cassa integrazione per covid nel periodo compreso tra il 10 agosto e il 10 ottobre 2021.

Di fronte al giudice che doveva decidere se l’inchiesta della guardia di finanza ternana diventerà un processo, la mossa a sorpresa della difesa di Manfred Kaufmann, che ha chiesto per lui la messa alla prova.

«Abbiamo chiesto il rito alternativo alla luce della riforma Cartabia entrata in vigore di recente - dice Civita Di Russo - che rende possibile prevedere anche la messa alla prova per il tipo di reato contestato al nostro ceo e secondo noi ci sono tutti i presupposti. Kaufmann ha fatto al giudice la proposta di risarcimento del danno all’inps - aggiunge il legale - e attendiamo con fiducia la decisione».

Il giudice Barbara Di Giovannantonio ha chiesto che venga prodotta tutta la documentazione tecnica necessaria per supportare la richiesta di messa alla prova del numero uno di Jindal Europe aggiornando l’udienza preliminare al 29 marzo.

In quella sede si valuteranno anche le posizioni di Garg Anorudh e Jain Deepak.

A margine dell’udienza l’avvocata, Civita Di Russo, ha sottolinea come «il ceo stia lavorando col commissario, Filippo Varazi, per tentare di reindustrializzare il sito ternano cercando qualcuno che possa garantire di salvare tutti i posti di lavoro».

L’inchiesta che ha portato il procuratore, Alberto Liguori, a chiedere il processo per truffa allo Stato per i tre ai vertici dell’azienda è esplosa a marzo di un anno fa quando su delega del gip le fiamme gialle ternane eseguirono un decreto di sequestro preventivo per equivalente pari a 15 mila e 400 euro.

La cifra che, per l’accusa sostenuta dalla procura, l’azienda avrebbe incassato grazie alla cassa integrazione da covid indebitamente percepita per due mesi.

L’accesso alla cassa integrazione, fruita per poco più di 2 mila ore a fronte delle oltre 50 mila richieste e concesse dall’Inps a sostegno della ripresa della produttività, sarebbe stato per l’accusa «strategico al solo fine di creare le condizioni favorevoli allo svuotamento del magazzino della sede ternana dei prodotti finiti e delle materie prime, per un valore di 11 milioni di euro, aggirando il blocco delle  portinerie innescato dallo sciopero indetto dai sindacati nei primi giorni di agosto 2020».

L’indagine, condotta dal nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Terni, ha portato alla luce quelle che gli investigatori considerano «criticità sulla gestione della crisi aziendale» che ha poi portato alla chiusura del sito di via Narni. 

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