Terni, si impicca il marito assassino. Aveca confessato il delitto

Terni, si impicca il marito assassino. Aveca confessato il delitto
di Nicoletta Gigli
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Sabato 1 Aprile 2023, 23:42 - Ultimo aggiornamento: 2 Aprile, 00:05

TERNI - Ha appeso il lenzuolo al gancio della finestra della cella e si è impiccato.

Il suicidio di Xhafer Uruci, 62 anni, albanese da oltre vent’anni a Terni, poche ore dopo che l’uomo, con un coltellaccio da cucina, ha ammazzato la moglie Zenepe, 56 anni appena festeggiati in famiglia e un passato di violenze e soprusi chiusi nel silenzio delle mura domestiche.

Xhafer era arrivato a Sabbione nella notte tra giovedì e venerdì, dopo un lungo interrogatorio: «Ho sbagliato, a che serve l'avvocato.

L’ho ammazzata io» ha ripetuto in questura agli investigatori che gli chiedevano di ricostruire l’efferato delitto.

Quando ha varcato la soglia del carcere è stato sistemato in una delle celle dell’accoglienza, quelle riservate alle prime ore di detenzione in attesa dell’interrogatorio di garanzia.

Come da prassi Xhafer è stato visto da tutti gli operatori del penitenziario ternano: lo psicologo, il medico, l’educatore, il sacerdote. Gli interventi di sostegno, a quanto emerge, sono stati tutti effettuati dalla direzione del carcere.

Forse non emergeva un quadro esasperato che potesse consigliare una misura di sorveglianza a vista. Durante i controlli notturni degli agenti era tutto sotto controllo. All’alba di ieri un poliziotto lo trova impiccato alla finestra della cella. I soccorsi sono inutili, sul posto arrivano i vertici del penitenziario per le prime indagini sul suicidio di chi forse ha preferito condannarsi da solo prima di finire in un’aula di tribunale.  «L’ho visto solo in questura e non mi pareva che stesse bene. Immaginavo che fosse tenuto sotto osservazione» dice l’avvocato d’ufficio Giorgio Cerquetti.

Qualche ora dopo il pm, Giorgio Panucci, che indaga sull’efferato delitto e ora anche sul suicidio dell’uxoricida, dispone il trasferimento dell’uomo all’obitorio dell’ospedale di Perugia, dove da giovedì notte c’è anche la salma di Zenepa. Nelle prossime ore il medico legale, Marco Albore, effettuerà le due autopsie. E’ un’indagine che ormai, dopo il suicidio di Xhafer, si chiude qui. Senza più lacrime i due figli della coppia, i primi ad accorrere nell’appartamento di via del Crociere, a Borgo Rivo.

In terra in un lago di sangue la madre Zenepe, aggredita alle spalle dal marito e finita con cinque coltellate una delle quali ha reciso la giugulare. Ad assistere in diretta telefonica alle prime fasi del delitto il figlio, che era al lavoro nel viterbese e implorava il padre di calmarsi, che ne avrebbero parlato la sera dei problemi: «Stasera non ci arrivi a parlarne stai sicuro - gli dice - adesso prendo un coltello, ti faccio vedere io come va a finire questa storia».

Sarà la figlia a trovarla in un lago di sangue e a cercare invano un segno di vita.

Accanto c’è Xhafer, le mani insanguinate e a pochi metri il coltello che ha usato per ammazzare la cuoca della pescheria di Borgo Rivo. Ed è pieno di risentimento: «Eccola, adesso è tutta vostra».

Il resto è un’indagine per omicidio volontario aggravato aperta dal pm, Giorgio Panucci, arricchita dai rilievi della scientifica e dall’interrogatorio fiume dell’autore di un femminicidio annunciato che ieri si è ucciso in cella.

Piangono e si sentono in colpa le amiche di Zenepe, che spesso andava in giro con un occhio nero e segni evidenti di violenza che lei però, da anni ingabbiata in una mentalità senza possibilità di fuga, attribuiva a banali incidenti.  «Da qualche mese viveva nel terrore e aveva raccontato delle continue liti col marito che non voleva che andsse al lavoro».

L’ultima lite le è costata la vita.

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