Snarky-Kamasi, l'Arena si
accende per il nuovo jazz

Snarky-Kamasi, l'Arena si accende per il nuovo jazz
di Michele Bellucci e Fabio Nucci
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Sabato 20 Luglio 2019, 01:16 - Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 00:04
PERUGIA - Il cielo è ancora chiaro quando gli Snarky Puppy salgono sul palco. Scelgono un inizio soft, con una chitarra arpeggiata e la tastiera che soffia leggera come un flauto. Quando il percussionista inizia a picchiare un ritmo sincopato il pubblico sente accendersi i motori e il messaggio sonoro sembra l'invito a una festa. Il sound è gioiso, a tratti latino e in certe sfumature quasi gypsy. Poi si vira sul funky e l'acidità dell'organo Hammond comincia a scaldare l'atmosfera. "Siamo molto molto felici di essere tornati - ammette Michael League, bassista e leader della formazione - e di suonare insieme al grande Kamasi Washington, che amiamo. Siamo contenti di avere nuova musica da suonare per voi". Quindi la prima proposta fresca, la recente Bad kids to the back con cui la band mostra i muscoli.

League chiede l'aiuto del pubblico per tenere il ritmo e, spezzando in due il pubblico, crea una base su cui suonare: è questo che si attendono i circa 2500 presenti all'Arena, vivere un'esperienza altamente coinvolgente come la band statunitense ha abituato i suoi seguaci. Peccato che un'ora non sia sufficente per far decollare questo "jet sonoro", così quando il frontman degli Snarky Puppy annuncia l'ultimo brano la sensazione è quella di aver appena assaggiato ciò che la band ha da offrire. La chiusura infatti lascia squillare i fiati sopra un groove che spacca lo stomaco e il coro del pubblico si unisce alle voci dei musicisti: "Perugia canta forte per favore" è l'invito e nessuno finge di non aver sentito. Arriva anche la standing ovation mentre la band saluta. Un concerto bello ma che, forse, avrebbe fatto tutto un altro effetto in una location più ristretta.

Dopo una breve pausa tocca invece al sassofonista americano Kamasi Washington, che torna a Uj con il suo progetto "Heaven and Heart". Abbigliato all'africana, come d'abitudine, il gigante buono del jazz contemporaneo saluta il pubblico con grandi sorrisi. "Vi siete divertiti con gli Snarky Puppy?" chiede instillando subito la speranza di un duetto inedito. Il pubblico di Uj lo considera un personaggio e la sua disinvoltura nel muoversi in città, negli altri concerti e concedendosi delle jam notturne, rispecchia questo spirito. Uno spirito libero che lo porta a lanciarsi in frequenti a solo, anche se non è raro vederlo affiancato dall'ottimo trombonista Ryan Porter. La formazione, un settetto, comprende due batterie (per non perdere il clima King Crimson che ne avevano tre) suonate da Tony Austin e Ronald Bruner, Jr., fratello del bassista Stephen Bruner al secolo Thundercat. Al basso con Kamasi c'è invece il "fratello" Miles Mosle autore di uno dei pezzi proposti, Abraham, mentre Brandon Coleman è alle tastiere. Una lineup che ricorda i Crusaders ma non nel sound che raramente viaggia all'unisono, specie tra i due fiati, con Kamasi quasi sempre spinto al massimo. 

Il live parte subito in quarta, uno shock sonoro dove la band insegue le scorribande dell'ispiratissimo Kamasi. C'è la potente Street fighter mas e la trascinante The rhythm changes. Apprezzatissima l'incursione nel funk di Mosle, il momento più profondo e più fusion della serata. "Vi propongo un brano per celebrare ognuno di voi, perché la diversità non è qualcosa da tollerare ma da celebrare". Il brano in questione è Truth, impreziosito dalla vocalità di Patrice Queen e dagli echi quasi afro da cui è attraversato.
È un'istantanea che il tempo di cinque minuti restituisce subito un'altra dimensione tutta giocata su groove e dinamiche che sembrano allungare ogni pezzo all'estremo, all'insegna di un'improvvisazione talvolta irruenta. C'è spazio per una versione "in punta dei piedi" di Will you sing. 

Il clima all'Arena è di quelli che solo manifestazioni come Uj riescono a creare. Dal palco si sprigiona un'energia dirompente e il pubblico sembra rimbalzarla con rinnovato vigore. Le teste ondeggiano, le gambe tengono il ritmo, le braccia si alzano a sottolineare alcuni passaggi. È il rito di Kamasi, che anche questa volta appare riuscito: lui sa come diffondere quell'infinito amore per la musica e quando lancia l'ultimo brano, Fists of fury, non si alzano frotte di gente ansiosa di imboccare l'uscita come spesso accade qui al Santa Giuliana. Stavolta il desiderio prevalente è quello di ballare. Peccato che il sipario si abbassa inesorabile troncando le speranze dei tanti che si erano fiondati sotto al palco confidando in un bis. È tutto finito prima di mezzanotte, forse una serata così avrebbe meritato un finale meno scontato.
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