Cia Umbria lancia l’allarme: «Rischiamo l’ennesima invasione di miele straniero sugli scaffali mentre i nostri apicoltori perdono il ruolo di custodi della biodiversità». «Ci aspettavamo una buona stagione fino a maggio - spiega Tiziano Gardi, docente del corso di Apicoltura all’Università di Perugia e apicoltore - con colonie che avevano immagazzinato più di 40 chili di miele. Tutto è cambiato in pochi giorni: il ritorno del maltempo e del freddo in primavera hanno causato lo stop delle produzioni frutticole. In risposta, le api hanno mangiato il
miele prodotto. Dopo, la siccità di giugno ha bloccato la fioritura delle piante e per istinto di sopravvivenza le colonie si sono ridotte in tutta l’Umbria, tranne nella zona dell’Alta Valle del Tevere, Assisi e la parte alta di Todi, dove il clima è stato più fresco. Siamo in sofferenza per il quarto anno di fila». Conferma il quadro Virginia Ruspolini, titolare di un’azienda di Marsciano: «L’attività che ho aperto nel 2015 va avanti, stiamo facendo importanti investimenti sugli immobili per costruire il nostro laboratorio, ma è sempre più dura. La soluzione, per me, è diversificare e unire l’apicoltura con l’agricoltura pura. Per questo, oltre a coltivare legumi e cereali antichi, con alcune associazioni aprirò alla didattica, per far capire ai ragazzi l’importanza delle api per preservare la biodiversità e la bellezza del nostro territorio. Non possiamo più puntare solo sulla produzione». Per il Presidente di Cia Umbria, Matteo Bartolini «la scarsità di produzione di miele umbro, e italiano in generale, porterà nei supermercati miele di importazione, Cina in primis, che non ha alcuna garanzia sanitaria rispetto alle produzioni locali. Sono mieli prodotti con l’uso di antibiotici in zootecnia».
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