Sgalla (Cgil): «Serve un piano per l'Umbria, Tesei cambi metodo e non sono d'accordo con Confindustria»

Vincenzo Sgalla
4 Minuti di Lettura
Giovedì 8 Aprile 2021, 17:00

PERUGIA - Vincenzo Sgalla, Cgil, Cisl e Uil nei giorni scorsi sono scese in piazza per dire “Adesso ascoltateci”. Vi stanno ascoltando?
«Prima un punto di principio: la Tesei cambi metodo e metta in atto una partecipazione vera. Prenda spunto, ad esempio, da quello che succede in Emilia Romagna, da una forma di accordo che tiene insieme innovazione, lavoro, ambiente, con una partecipazione diffusa dei corpi intermedi e di tutti i soggetti coinvolti».
A chi era rivolto quel grido “Adesso ascoltateci”?
«Adesso ascoltateci era il grido di allarme di un società che è in difficoltà per davvero, una società in cui una crisi si somma all’altra: quella che avevamo prima e quella terribile della pandemia... ma ribadisco che il metodo attuato finora non funziona».
Quale metodo?
«Il metodo non può essere: facciamo una call, noi ascoltiamo dall’assessore allo sviluppo economico tre concetti, mi permetto di dire non troppo concreti, qualche anglicismo, e si va avanti... no. Qui c’è da ricostruire un modello di sviluppo per l’Umbria».
La convince il tema dell’Italia centrale? L’Umbria in passato ha avuto un po’ di timore a stare nell’idea dell’Italia di mezzo, temendo di fare la fine del vaso di coccio tra vasi di ferro.
«Se c’è un’idea chiara, ben definita, di quello che serve all’Umbria, allora possiamo essere sufficientemente forti per stare anche in un progetto più grande, di scala, che certamente è importante».
L’Umbria può starci con le sue peculiarità?
«Partiamo da un punto fondamentale: quattro regioni dell’Italia centrale hanno di fronte la questione della ricostruzione post- terremoto e da lì necessariamente devono passare. Ma non solo: possiamo agganciare pezzi di filiera significativi vicini a noi. Faccio un esempio: l’automotive, oppure se guardo nella direzione delle Marche l’aerospazio, magari partendo da eccellenze come quelle dell’area di Foligno. Vado anche oltre: il polo dell’industria farmaceutica in Emilia Romagna. L’Umbria su questi terreni può recitare la propria parte, essere di supporto ad altre realtà e ricavarne delle ricadute».
Guardando alle Marche, l’Università di Perugia ha costruito un ponte in quella direzione con un progetto ad hoc.
«Un ottimo progetto, ha fatto molto bene il rettore Oliviero a crederci. L’Università degli Studi di Perugia e l’Università politecnica della Marche sono realtà che possono costruire insieme, con effetti positivi per entrambe, senza perdere le proprie identità e senza timori di aprirsi all’esterno “perché siamo piccoli”. Un discorso simile può valere anche nella direzione della Toscana. Queste sono opportunità da costruire e da cogliere».
Sgalla, a che punto è la discussione sul Piano di ripartenza e resilienza?
«Abbiamo fatto due riunioni. La Regione ci ha presentato un documento con 620 progetti, quando il piano del governo Conte ne contemplava 50 e quello del governo Draghi certamente ne conterrà meno di 50. Noi abbiamo detto: non è questa la strada. Non si può mettere nel recovery plan semplicemente “quello che non è stato fatto finora”. Ripeto: serve un’idea di sviluppo per questa regione, e a nostro giudizio va fondata su ambiente, infrastrutture, istruzione, ricerca e inclusione sociale».
Per tornare al vostro slogan: via ascoltano?
«Cgil, Cisl e Uil hanno aperto una discussione con tutti, con tutte le associazioni datoriali, per discutere di questo, ad esempio di come affrontare il tema delle diseguaglianze che è enorme. Abbiamo condiviso e spiegato il significato delle nostre ragioni».
Li avete convinti?
«Abbiamo ragionato con tutti, devo dire che la distanza maggiore l’abbiamo misurata con Confindustria. Il presidente Alunni continua a dire: soldi alle imprese. Io non lo condivido, è un concetto che ritengo sbagliato».
Alunni dice “prima l’industria”, perché lì sta il fatturato e pure i posti di lavoro. A guardare l’elenco delle vertenze delle industrie umbre vengono i brividi.
«Ne siamo assolutamente consapevoli. Lo gridiamo da tempo. A Natale abbiamo chiesto alla Regione una task force per questo. Siamo preoccupatissimi per quello che potrà succedere quando terminerà il blocco dei licenziamenti ed abbiamo proposto di individuare un metodo d’intervento che vada anche oltre le norme nazionali, per avviare percorsi di formazione per il personale e se necessario di riconversione. Per questo serviranno risorse aggiuntive e ammortizzatori sociali per le imprese che non possono accedervi. Tutelare il lavoro significa tutelare il reddito e oggi vuol dire tenere l’Umbria a galla in vista di una ripartenza che altrimenti non riusciremo ad agganciare».
Sgalla, le 1550 assunzioni in Sanità a che punto sono?
«Siamo indietro ed è grave, perché una cosa è assumere a marzo altro è assumere a novembre.

Ma siamo indietro anche sulla vaccinazione, perché anche su quel fronte non c’è un metodo partecipativo e di confronto. Io penso ad esempio ad un accordo per ampliare i punti vaccinali che coinvolga anche le aziende in modo serio, senza generare la guerra tra poveri. Lo dico chiaro: noi siamo sempre disponibili a trovare punti d’approdo comuni per gestire l’emergenza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA