Il laboratorio di Perugia: «Senza paura e con tanto lavoro, così guardiamo in faccia il supervirus»

Il laboratorio di microbiologia di Perugia
di Federico Fabrizi
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Venerdì 28 Febbraio 2020, 17:25 - Ultimo aggiornamento: 19:01
PERUGIA C’è una corona, piccolina, disegnata sopra una maiolica. Accanto l’augurio: «In bocca al lupo». È nel corridoio di accesso alla stanza in cui si guardano da vicino i virus più cattivi. Un pennarello nero ha messo in fila il promemoria di vestizione del bravo biologo: dai bracciali da togliere ai doppi guanti da indossare, poi c’è scappato il simbolo della corona. Visto da quaggiù, incastrato dentro macchinari, occhi e mani esperti, il coronavirus fa un po’ meno paura. Blocco M, piano meno 2 dei parallelepipedi dell’ospedale di Perugia. I tamponi sospetti di tutta l’Umbria li analizzano qui. Le luci sono accese 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Una quartantina di camici bianchi e verdi tra dirigenti e tecnici si muovono avanti e indietro nei corridoi: un esempio dell’integrazione che funziona tra università e sistema sanitario regionale. La struttura complessa dell’Azienda ospedaliera di Perugia è guidata da una prof: «Dalla scorsa settimana abbiamo intensificato i turni di lavoro - racconta la professoressa Antonella Mencacci, che dirige il laboratorio - abbiamo lavorato anche tredici ore al giorno, io ho la fortuna di guidare una grande squadra... vanno ringraziati tutti per impegno e professionalità». L’istituto perugino è attrezzato anche per affrontare la tubercolosi, per questo c’è la stanza “di livello tre”: ora parte di quegli spazi è dedicato alle analisi per il covid-19. La dottoressa Barbara Camilloni (dell’Università) è la referente in Umbria della rete “Influnet”: da lì escono le regole d’ingaggio al coronavirus. Il protocollo prevede 24 ore di tempo per pronunciarsi di fronte a quel bastoncino simile ad un cotton fioc: «Si è lui, è il coronavirus». Oppure: «No. Non c’è». Il laboratorio di Perugia è riuscito ad eseguire i test nell’arco di un pomeriggio. Ne ha fatti diciassette. Sei nella sola giornata di mercoledì. Fino ad ora tutti i casi sospetti sono risultati negativi. Ma serve tempo per fare il test. La prima mossa è estrarre la molecola da scrutare: si chiama Rna. I momenti iniziali sono i più delicati perché in quegli istanti i tecnici hanno in mano il virus attivo. Poi gli strumenti di laboratorio svolgono “l’amplificazione”: una specie di doping per poter osservare meglio. Però il bello arriva nel finale, poiché il virus va controllato pezzo a pezzo e riconosciuto. Per dire sì o no i risultati devono essere letti da un occhio capace. Il protocollo prevede che i test vadano ripetuti nell’arco di 24 ore per ottenere la conferma. Solo nel caso di risultati positivi scatta l’invio all’Istituto superiore di Sanità: per un ulteriore controllo e per comporre la casistica da studiare. Per gestire l’emergenza, a Perugia, si sono allenati prima: «A dicembre abbiamo svolto delle vere e proprie simulazioni - racconta la professoressa Mencacci mostrando un video registrato sul suo smartphone - alla comunicazione del primo test da eseguire ci siamo guardati negli occhi, abbiamo preso fiato e siamo partiti: tutti sapevamo cosa fare e come farlo». La battaglia al supervirus si fa così: con le truppe organizzate.
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