Scuola chiusa e lockdown, tra i ragazzi scoppia la "sindrome della capanna"

Scuola chiusa e lockdown, tra i ragazzi scoppia la "sindrome della capanna"
di Cristiana Mapelli
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 6 Gennaio 2021, 10:45

Scuole ancora chiuse. Pandemia a parte, non far tornare sui banchi di scuola i ragazzi può far più male che bene. Ecco come gestire alcuni disturbi comuni con i consigli della psicologa psicoterapeuta Rosella De Leonibus.

Dottoressa De Leonibus, cosa fare se il ragazzo sta tutto il giorno in camera e si isola dal contesto domestico? «Bisogna osservare se questo isolamento è un fatto nuovo oppure era un comportamento già esistente. Se avveniva già prima vuol dire che c’è un disagio relazionale. Se invece è un comportamento che notiamo in epoca di lockdown, bisogna entrare in empatica con il ragazzo.  Il disagio può essere la cosiddetta “sindrome della capanna”. Il lockdown impone un cambiamento di stile di vita che per i ragazzi è stato pensatissimo perché si sono visti gli spazi sociali ridotti. Niente allenamenti né sport, niente uscite serali, niente uscite in giro con il motorino, niente incontri o feste di compleanno e di maturità, nessun momento di corteggiamento. Così i nostri ragazzi hanno reagito alle restrizioni del Covid o trasgredendo facendo la movida, oppure negando il problema o, in alternativa iper adattandosi alle costrizioni». 

Come aiutare a superare questo disagio?

«Dobbiamo guardare questo sintomo di adattamento eccessivo all’emergenza e provare a coinvolgere l’adolescente su cose che possono riguardarlo. Chiediamogli una consulenza sull’utilizzo di computer, social o smartphone. Oppure possiamo chiedere loro di fare ricerche informatiche che valorizzino le loro competenze che sono ovviamente maggiori delle nostre. Bisogna essere comprensivi e non costringerli a comportamenti che ora non si sentono di fare. Ad esempio se chiediamo di spiegarci il nuovo Dpcm e coinvolgiamoli nel contesto domestico con piccoli compiti che li facciano sentire utili e non giudicati». 

Cosa fare se non seguono più le lezioni, spegnendo microfono e telecamera?

«Quella della didattica online è una grande avventura di adattamento.

Non è grave se decide di spengere video e microfono perché i ragazzi apprendono semplicemente ascoltando. Si distraggono, certo, ma lo fanno anche a scuola. Basti pensare che anche in presenza l’attenzione è alta solo nei primi 30 minuti massimo. La didattica a distanza è una sfida enorme per la scuola e bona parte del corpo docente ha attivato formule più interattive di coinvolgimento, chi no c’è riuscito sconta la fatica dell’attenzione. Studi affermano che è particolarmente complesso avere attenzione a lungo termine con la didattica a distanza perché si divide in due luoghi, la propria camera e il contesto online. Se docenti e studenti riescono a fare almeno la metà della didattica in maniera efficace è già un grande successo».

Quali saranno le conseguenze di questa mancata socialità?

«Sono conseguenze reali. Più il bambino è piccolo e più le conseguenze sono importanti perché è a scuola che si strutturano abilità prosociali e sociali. I bambini, i ragazzi, ma anche noi adulti abbiamo già perso, dopo questi questi lockdown, l’abilità sociale di saper stare con altre persone nuove, che sono fuori dalla famiglia o dalle amicizie più strette. La buona notizia è che esiste una plasticità per cui i ragazzi potranno recuperare in futuro quanto hanno perduto ora. Molti bambini riferiscono già di avere difficoltà nel fare amicizia con nuovi bimbi perché indossano la mascherina, che in qualche modo filtra i loro comportamenti naturali. La scuola è un luogo educativo alla compresenza e dobbiamo tenerlo presente in futuro».

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