Covid, «per un'ecografia per mio figlio 17 mesi di attesa. Richiesta appena è nato»

Covid, «per un'ecografia per mio figlio 17 mesi di attesa. Richiesta appena è nato»
di Egle Priolo
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Venerdì 5 Febbraio 2021, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 08:54

PERUGIA - Dall'inizio della pandemia a preoccupare, insieme all'andamento dei contagi, è sempre stata la tenuta del sistema sanitario. Considerato nella sua interezza. E già durante il primo lockdown le lamentele maggiori sono state riferite non solo alle terapie intensive piene, ma a tutte quelle prestazioni saltate o rinviate per mesi anche in casi considerati a rischio.

Basta ricordare cosa successe con la chiusura degli ambulatori al Santa Maria della misericordia e alla corsa a recuperare il tempo perso, certamente per cause di forza maggiore, per snellire le liste d'attesa gonfiate dalla pandemia.

E mentre proprio la direzione dell'ospedale regionale sta valutando una seconda chiusura: ipotesi sul tavolo, ma tutta ancora da ragionare. Per questi motivi le parole del commissario straordinario per la gestione dell'emergenza in Umbria, Massimo D'Angelo, suonano come una speranza ma soprattutto un impegno da non lasciare lettera morta.

Ieri, durante la riunione sulla situazione settimanale in Umbria, infatti il commissario D'Angelo ha spiegato come proprio al Santa Maria della misericordia si stia lavorando attualmente per potenziare i posti letto Covid, ma anche per la riduzione dei tempi di degenza media dei pazienti non Covid. Un progetto che non significa rimandare a casa i pazienti prima del tempo dovuto, ma certamente velocizzare le dimissioni per essere in grado di ospitare presto chi ne ha bisogno. Un progetto che rientra nel piano strategico regionale in caso di incremento dei malati, in pratica quel piano di salvaguardia firmato Bertolaso evidentemente non rimasto nel cassetto. Tutto questo mentre purtroppo i dati sull'occupazione delle terapie intensive negli ospedali umbri parlano di uno spaventoso 47 per cento, quando la soglia considerata critica è stata fissata al 30.

<h2>Il racconto</h2>

Numeri che atterriscono, come i contagi e le vittime in continuo aumento, ma che non appannano la rabbia e i disagi di chi, magari da mesi, è in attesa di visite o interventi. Di chi si sente abbandonato dal sistema sanitario pubblico e riempie le sale d'attesa di cliniche e laboratori privati, mai visti così ingolfati.

Tra loro la voce di Maria, una mamma forse più basita che arrabbiata. «A fine gennaio sono stata contattata dal servizio prenotazioni e mi hanno chiesto se fossi disponibile a fare effettuare un'ecografia per il mio bambino ad aprile 2021. Un'ecografia richiesta dallo stesso ospedale al momento delle dimissioni dopo la sua nascita. Quando è nato? A ottobre 2019. Una buona media». Maria infatti spiega come la richiesta al Cup l'abbia fatta a novembre 2019, insieme a una serie di esami considerati necessari dai medici. «Niente di grave, ma uno scrupolo in più della dottoressa che ha firmato le sue dimissioni - ricorda la mamma -. Siamo riusciti a fare tutto nel giro di poco, anche se privatamente. Era rimasta solo questa ecografia possibile solo in ospedale, per cui ci hanno messo in lista d'attesa. Lo scorso aprile, dopo il primo lockdown, ci hanno chiamato per sapere se fossimo ancora interessati, abbiamo detto di sì, in fondo il bambino aveva ancora meno di sei mesi. Poi il silenzio fino a qualche giorno fa e la prenotazione fissata tra altri due mesi». «Al telefono, l'incaricata – conclude Maria – è stata in effetti molto gentile e mi ha spiegato, guardando la data della prima richiesta di due anni fa, che la pediatra non aveva inserito la dicitura “urgente” sull'impegnativa. Ma ok che non era urgente, ma forse per un bambino appena nato 17 mesi di attesa sono comunque troppi. O no?»

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