TERNI «Siamo madri che a Rigopiano hanno perso i propri figli e qualcuno ha avuto il coraggio di definirci semplici parti offese. Venerdì è stata scritta una delle pagine più brutte di questo processo e chissà quante ne dovremo ancora sopportare. Non faccio altro che pensare a mio figlio, a quando aspettava fiducioso che arrivasse quella turbina che li avrebbe salvati». Mamma Antonella è reduce dall’ennesima udienza del processo per il crollo del resort di Farindola. Quattro anni e mezzo fa ha perso suo figlio, Alessandro Riccetti, giovane receptionist ternano sepolto dalle macerie insieme ad altre 28 persone. L’ultima udienza ha visto un avvocato scagliarsi contro le mamme presenti, colpevoli solo di aver chiesto di non allungare ulteriormente la loro agonia con altri rinvii pretestuosi: «Non è civile scagliarsi contro mamme a cui sono stati uccisi i figli dall’incuria e dall’incapacità di persone non adatte a ricoprire ruoli pubblici solo perché si sono lamentate per le lungaggini di una giustizia che forse chissà se avremo - dice Antonella. Noi siamo le parti offese, a noi sono morti i figli, il bene più grande. Mi chiedo dove sia la civiltà in un paese dove si fanno morire 29 persone per non aver aperto la strada dopo una prima scossa di terremoto, non garantendo le vie di uscita. Dove crollano i ponti per non aver fatto manutenzione, dove per il Dio denaro si viola la natura. Noi non molleremo mai, per quegli angeli e per tutti quelli morti nelle troppe stragi».
In queste ore mamma Antonella ha saputo che il 15 luglio, nella sala consiliare di palazzo Spada, il sindaco, Leonardo Latini, le consegnerà la civile benemerenza in memoria di Alessandro. Andato via a 33 anni mentre si guadagnava da vivere lontano dalla sua città. «Per me è una cosa bellissima ricordare il mio Alessandro, che per lavorare faceva 250 chilometri. Mio figlio era uno dei tanti giovani bravi di cui non si parla mai. Aveva un grande senso di responsabilità, soprattutto dopo la morte del papà, quando si sentiva la responsabilità di aiutare la nostra famiglia. Mi diceva sempre che senza lavoro non sarebbe mai rimasto ed è stato quel lavoro a interrompere per sempre i suoi sogni».
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