«Quando Paolo faceva rafting alle Marmore»:
il ricordo dei fratelli Dall'Oglio a cinque anni dal rapimento

Giovanni e Pietro Dall'Oglio
di Vanna Ugolini
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Domenica 19 Agosto 2018, 16:00
ARRONE «Lo accompagnai io all'aeroporto a metà luglio. E' stata l'ultima volta che gli ho parlato e che l'ho visto. Cosa spero, adesso? In famiglia ci diciamo che ci sono stati rapimenti anche più lunghi. E che mio fratello potrebbe essere considerato un ostaggio importante e, quindi, potrebbe anche essere tenuto per fare un scambio». Pietro e Giovanni Dall'Oglio sono i fratelli di Paolo, il gesuita rifondatore del monastero di Deir Mar Musa, rapito in Siria il 29 luglio di cinque anni fa dall'Isis e di cui non si è saputo più nulla, almeno ufficialmente. Sono originari di Roma ma la Valnerina e Terni sono stati sempre presenti nella loro vita, fin da quando erano bambini, tanto che sono stati loro, una volta diventati adulti, ad aprire il centro rafting di Marmore e poi quello soft di Arrone. «Noi siamo sempre in contatto con la Farnesina, ci affidiamo a loro per le ricerche, altro non possiamo fare - spiega Pietro - Nostro fratello viene sempre ricordato per la sua cultura, per il suo rigore. E' sempre stato un costruttore di ponti, una persona che non accettava le ingiustizie e le divisioni. E' un puro, ma noi lo conosciamo anche per la sua allegria, per la sua voglia di vivere e di scherzare. E ci piace che anche la gente lo conosca per questo aspetto». Così, seduti a un tavolo del centro rafting di Arrone, un piccolo paradiso per chi ama gli sport all'aria aperta perchè si possono fare discese in gommone ma c'è anche il gruppo canoe e il gruppo mountain bike, Pietro e Giovanni ricordano con il sorriso quel fratello che prima di fare una scelta importante come quella di diventare gesuita e poi di andare in Siria, scendeva in gommone con loro, viaggiava con la famiglia nel cuore dell'Appennino, dall'Abruzzo alla Valnerina e poi su, fino ad Assisi e passava le estati coi fratelli in mezzo alla natura. «Anche lui come noi è stato uno scout. Da ragazzino lo chiamavamo Orango per la sua mania di salire sugli alberi. Mi sembra anche di ricordare - aggiunge Pietro - che costruì qui canoa rudimentale». Anno dopo anno tra il verde di Abruzzo e Umbria, la natura per i giovani Dall'Oglio è diventata «una specie di malattia. Ci chiamavano i Gladiators. Siamo stati probabilmente i primi, io e Giovanni, a scendere i fiumi del centro Italia in canoa e anche qui, la zona sotto la Cascata delle Marmore. Ci chiedevamo dove va a finire l'acqua della cascata? Quando cominciammo a scendere qui era piena di immondizia, dovevamo fermarci a raccoglierla. Poi siamo stati anche fuori, in Perù, sul Rio delle Amazzoni». Una vita mai banale, quella dei fratelli Dall'Oglio. Non è facile incontrare, adesso, Giovanni in Italia, medico responsabile di un campo profughi in Sud Sudan con l'associazione Medici con l'Africa Cuamm. «Con mio fratello Paolo siamo venuti in Umbria anche con gli scout», ricorda ancora Pietro. «Era sempre molto allegro, anche quando divenne adulto e gli piace vivere. La sua tristezza era vedere il dramma del popolo siriano». Pietro ha ricordato il fratello anche in una canzone, Abuna Paolo un rap con cui si rivolge al fratello. «Per noi tu hai già vinto» perchè «ti sei abbandonato agli altri ». «Ti ricordi, passo dopo passo, sulle rocce del Velino, quando ci parlavi del divino?», canta Pietro, ricordando come il fratello abbia comunque trovato il senso della sua vita.
 
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