Lo psicologo: «Come affrontare
in casa i tempi del coronavirus»

attività da fare in casa durante il coronavirus
di Egle Priolo
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Venerdì 13 Marzo 2020, 11:06 - Ultimo aggiornamento: 13:19
PERUGIA - «Prepariamoci allo scompenso emotivo di un'intera generazione: a rischio sono soprattutto adolescenti e giovani per cui la deprivazione sociale e l'immobilità sono pericolose. Come superarle? Con attività pratiche da svolgere in casa: musica, ballo o arte. Tutto quanto sia un'azione con un risultato. Tutto ciò che è passivo non serve, perché la passività fa sentire impotente e aumenta l'ansia».

È un fiume in piena Rosella De Leonibus, psicologa, psicoterapeuta e docente dell'Istituto di Psicoterapia della Gestalt espressiva di Perugia. Che sottolinea la «necessità dei provvedimenti presi dal governo, ma le difficoltà che ne scaturiranno possono trovare un antidoto nell'aiuto degli psicologi.
Dottoressa De Leonibus, cosa rende la psicosi da coronavirus così frustrante?
«Il fatto che si lotti contro un nemico invisibile, sconosciuto, che non si vede. E contro il quale le condotte suggerite, seppur necessarie, possono sembrare non bastare».
In Umbria anni fa anche voi psicologi avete lottato contro un'altra psicosi, quella da terremoto. Ci sono delle differenze con quella attuale?
«Certamente. Perché il terremoto è un evento naturale, non gestibile sul piano umano, una disgrazia collettiva ma che si sa possa accadere, di cui c'è cognizione. Il coronavirus invece viene descritto come qualcosa di nuovo e di sconosciuto: una particolarità che quindi crea più angoscia. Il terremoto, poi, in qualche modo si vede, il virus invece è un nemico invisibile, insidioso, quindi vissuto come più pericoloso».
C'è qualcosa che abbia a che fare anche con la nostra responsabilità?
«Sì, proprio perché il contagio può dipendere anche dalle nostre condotte, ne sentiamo di più la responsabilità. Siamo quindi più vulnerabili e più accessibili al panico. Senza dimenticare il nostro senso di colpa, che è sempre difficile da accogliere senza problemi».
E poi?
«La differenza enorme è poi nei fattori della resilienza, quel processo per cui da un trauma si cresce e ci si rinnova. Nella resilienza conta la dimensione collettiva, stare insieme tra chi ha lo stesso problema. Nel caso dell'epidemia da coronavirus, invece, siamo isolati per forza, non possiamo stare insieme. E non sentire la presenza dell'altro, in cui riconoscere la stessa paura e lo stesso dolore, è un problema. Perché ci si percepisce come soli e aumenta la situazione di stress e ansia».
C'è chi ha paragonato questa psicosi a quella da terrorismo...
«Nel caso della paura del terrorismo, il nemico è umano ed è facile creare un “noi barra loro”. La minaccia può essere incombente, ma il senso di appartenenza delimita il senso di ansia, si riconosce il nemico. Nel caso attuale, come detto, no».
Quali difficoltà mostra chi si rivolge allo psicologo in questo momento?
«La più grande è quella della privazione della libertà personale».
Più del rischio del contagio?
«Sì, perché ci si adatta con più difficoltà. L'esplodere del malessere psicologico è nella mancanza di libertà, con la casa che invece di essere il luogo del conforto e del riposo, diventa la zona dell'isolamento, in cui manca una dimensione sociale collettiva, fondamentale soprattutto per i ragazzi».
Come aiutarli, allora, per allentare la tensione?
«Il movimento aiuta, per concentrare su altro la propria carica fisica. Allora fa bene la musica, ballare, svolgere quei lavori in casa che vengono sempre rimandati, ma anche darsi a forme di espressione artistica come disegnare, scrivere, scolpire...».
Insomma lavori manuali?
«Sì, tutto quelle azioni con risultati concreti che aiutano contro la frustrazione. Perché va bene leggere e guardare la tv, ma tutto ciò che è passivo non serve contro la frustrazione».
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