Postina invalida, umiliata e licenziata vince il ricorso

Postina invalida, umiliata e licenziata vince il ricorso
di Giovanni Camirri
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Sabato 11 Luglio 2020, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 09:52

FOLIGNO - Dipendente delle poste invalida licenziata per uso improprio della 104, che utilizza per la sua disabilità, fa ricorso e viene reintegrata. Protagonista della battaglia giudiziaria è una donna che vive e lavora nella provincia di Perugia e che ha fatto ricorso al licenziamento attraverso gli avvocati Simona Properzi e Federico Muzi. La donna è stata accusata da Poste Italiane di avere nei giorni di fruizione della 104 invece lavorato presso un’altra attività, compatibile e autorizzata, che gestisce regolarmente. E per tale accusa era stata licenziata in tronco. 

LA REAZIONE 
La dipendente della Poste non s’è abbattuta e dopo il licenziamento ha impugnato il provvedimento attivando, attraverso i suoi legali, una causa di lavoro con rito Fornero, un grado di giudizio che si esplicita in due fasi. Già dalla sentenza della prima fase la donna ha avuto ragione, è stata reintegrata al lavoro, è stata risarcita e non ha perso nemmeno un giorno di lavoro. Nella seconda fase, la signora ha avuto di nuovo riconosciute le sue ragioni. Il ricorso da parte delle Poste è poi arrivato in Corte d’Appello, Sezione Lavoro, ed anche qui la dipendente ha visto confermata l’illegittimità del licenziamento. Posizione della signora confermata da 2 gradi di giudizio e tre sentenze risultate univoche.

L’accusa contro la lavoratrice , come è in uso nell’esperienza degli ultimi anni era incentrata su una relazione svolta da investigatori privati che avevano pedinato e filmato la lavoratrice. La relazione e l’opera degli investigatori privati, di fatto stando alla sentenza, sono risultate però lacunose e deboli in giudizio. In base a quanto contestato in relazione al licenziamento a carico della donna viene sollevato il fatto che la stessa nei giorni di fruizione dei riposi ex legge 104 si recava presso l’attività che gestisce di fatto lavorando. Nella sentenza della Corte d’Appello si legge che: “Il procedimento di primo grado ha avuto, in entrambe le sue fasi, esito favorevole alla lavoratrice. Con la sentenza qui impugnata, in particolare, il Tribunale ha ritenuto che non vi fossero prove decisive circa lo svolgimento di attività lavorativa, da parte di…, nei due giorni in parola; a fronte di alcuni elementi che avrebbero potuto far pensare ad un’attività di …, erano infatti noti altri fatti che deponevano in senso contrario”.

E ancora “Si ritiene che la sentenza reclamata meriti conferma, poiché il primo giudice ha ben valutato il materiale probatorio disponibile, giungendo alla condivisibile conclusione per cui “… l’istruttoria espletata non ha fornito alcuna prova decisiva in merito al fatto che la ricorrente abbia svolto… attività lavorativa presso… del quale ella è titolare””. La signora, nelle occasioni contestate, s’è materialmente recata presso l’attività di cui è titolare ma non ha lavorato proprio perché quei giorni erano quelli di fruizione della 104. 

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