«Università, la Stranieri risparmia
e apre sedi a Roma e Buenos Aires»

«Università, la Stranieri risparmia e apre sedi a Roma e Buenos Aires»
di Federico Fabrizi
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Sabato 20 Settembre 2014, 15:56 - Ultimo aggiornamento: 16:03
PERUGIA - I conti tendono verso tinte scure - 7 milioni di risparmi andati nell'arco di 10 bilanci - i banchi vuoti, perch gli iscritti diminuiscono, da 2800 a 1200 in 10 anni, il ritornello della sinergia-alleanza-fusione inevitabile con qualcuno.

Che fine fa l'Università per Stranieri di Perugia? Marco Impagliazzo, prof di storia contemporanea, presidente del cda della Gallenga dallo scorso marzo - uomo “tosto”, dal 2003 presidente della Comunità di Sant'Egidio - non è tipo da pensare alla ritirata, al contrario traccia le linee della «ripartenza».

«I tagli? Col primo bilancio della nuova gestione risparmiamo più di mezzo milione - spiega - e penso ad aprire sedi a Roma e a Buenos Aires: c'è un grande bisogno di imparare l'italiano del mondo...».

Professore, partiamo dai numeri.

«Il calo degli iscritti e i numeri dei bilanci sono noti, dicono chiaramente che ereditiamo una situazione difficile. Le iscrizioni sono in calo per una serie di fattori esterni: più concorrenza, una certa immagine della città, la riduzione di finanziamenti, noi ricevevamo fondi anche dal Ministero degli Esteri...».

Tutto qui?

«I fattori interni pesano: negli ultimi anni c'è stata una gestione più orientata al presente che improntata su una visione rivolta al futuro. È mancato uno sguardo di prospettiva: che la concorrenza sarebbe aumentata e che lo Stato avrebbe ridotto i finanziamenti era di certo prevedibile, no?»

La Stranieri è messa proprio male, allora.

«Stiamo parlando di un'istituzione con un nome e una reputazione importanti, il fatto che qui si sia determinata una certa situazione è ancora più preoccupante. Ma prima che questa storia finisca, va rilanciata».

Va bene, ma che si fa?

«Intanto con il direttore Cristiano Nicoletti abbiamo avviato un'azione di tagli, anche lineari: consulenze, incarichi, auto. Nel nuovo bilancio di previsione risparmiamo oltre 500mila euro. Razionalizzeremo anche i contratti esterni».

Spending review, insomma.

«Non è solo un fatto di numeri, sono anche segnali contro gli sprechi, ma certo i tagli non bastano per ripartire».

Idee?

«Serve una visione proiettata in avanti, quella che, mi spiace dirlo, è mancata. Abbiamo una grande storia, su cui però non bisogna sedersi, energie e qualità per costruire un rilancio. Niente catastrofismo, serve l'analisi approfondita dei problemi, idee e soluzioni».

Impagliazzo, cos'ha in mente?

«Bene le relazioni con la Cina e bene i rapporti con enti e agenzie, ma allarghiamo l'orizzonte, in primis l'area latinoamericana: l'Argentina e il Brasile. E poi la Corea del sud, un Paese con grande attenzione a cultura, prodotti, moda italiana, ma anche Iran e Indonesia. Voglio dire: il fatto che Thohir venga a fare il presidente dell'Inter è emblema di un interesse di quel mondo per il nostro Paese: l'Università deve esserci. L'Università per Stranieri di Perugia può giocare un ruolo».

Buona idea, andiamo sul concreto: come si fa?

«La Stranieri è un marchio e non può restare chiuso in una città: subito un rapporto con le università pontificie, c'è un grande flusso di persone che viene a studiare l'italiano. E poi vanno aperte sedi a Roma e Buenos Aires».

Professore, costerà un bel po'.

«Non tanto: i professori possono spostarsi e una sede costerà certo meno che la palazzina di senologia: ci stiamo ancora chiedendo il perché di quell'acquisto. C'è grande bisogno di imparare l'italiano, noi dobbiamo far sapere che ci siamo, e dobbiamo assolutamente svecchiarci nel modo di presentarci e di comunicare».

Vediamo se ho capito: la Stranieri icona del made in Italy e non padiglione dell'Università degli studi di Perugia.

«Certo. Noi siamo e dobbiamo essere un marchio italiano nel mondo. Nessuna competizione con l'altra università, non è questo il punto: siamo cose diverse, con storie diverse».

Con tutte queste idee, alla Gallenga ci sarà da rimboccarsi le maniche.

«Qui c'e anche un problema di senso di responsabilità che deve crescere. Negli ultimi anni, forse per una gestione un po' personalistica, abbiamo assistito ad una deresponsabilizzazione a tanti livelli, anche tra i docenti. Ora è il tempo della responsabilità. Il mio è un appello: non è il tempo dalla persona sola al comando, ma di scelte concrete, importanti, di rilancio al passo coi tempi».