«Sette mesi per una visita
e mia figlia è morta»

«Sette mesi per una visita e mia figlia è morta»
di Egle Priolo
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Giovedì 8 Maggio 2014, 22:00 - Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 13:08
PERUGIA - Due ore e cinquanta minuti. Tanto ha retto il suo cuore dopo un ultimo attacco. A soli sette mesi di vita. Se ne andata via cos, dopo l’ultima poppata, per una cardiopatia su cui forse si indagato troppo poco.

Lo dicono nella disperazione i suoi genitori, lo scrive il medico legale che ha dovuto fare l’autopsia su un corpicino martoriato dai conati e dalle lacrime.

Questa è la storia di Serena, un nome di fantasia per la piccola figlia di genitori algerini nata nell’ottobre 2010 al Santa Maria della Misericordia. Papà e mamma, in realtà, per lei avevano scelto un nome che significa preghiera: ma non sono bastate le suppliche per far fare alla piccola Serena un esame che, forse, avrebbe potuto salvarle la vita. Sei i medici indagati, con la famiglia di Serena che accusa professionisti e Asl per non aver seguito i codici di urgenza richiesti dal pediatra per un esame necessario e urgente. Pediatra che, però, non avrebbe neanche avvisato i genitori della possibilità di eseguirlo privatamente.



Due ore e cinquanta minuti. Tanto è durata la sua agonia dopo l’ultima poppata. È il giugno 2011 e la piccola viene portata in ospedale. «Ha una cardiopatia, ha un soffio al cuore», spiegano i genitori che da mesi cercano di farla curare. Ma i medici, è l’accusa, non avrebbero ascoltato troppo quei due genitori disperati. E la bambina, in un caldo pomeriggio di giugno, non regge più il suo cuore bizzoso e muore.

Da lì inizia il calvario per mamma e papà, che oggi scrivono anche al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio e al Ministero della sanità per avere giustizia.

«Non so se è possibile immaginare cosa possa scatenare nell’animo di un genitore - spiega il papà - la scoperta che la morte della propria figlia non è dipesa da una tragica fatalità, da un crudele destino che l’intervento umano non poteva arginare o mutare, ma da una superficiale inazione umana in concorso con l’inceppamento della macchina burocratica che quelle stesse istituzioni che ne hanno creato le regole non sono in grado di fare funzionare».

Un attacco diretto e spiegato in dieci accorate pagine in cui il papà di Serena racconta sette mesi di gioia e di dramma infinito. La piccola nasce ad ottobre, all’inizio sta bene ma già a febbraio le viene diagnosticato un soffio al cuore.



Il pediatra le prescrive una visita cardiologica con eco cuore: la data viene fissata dal Cup di Magione a settembre, sette mesi dopo. Allora il pediatra ci riprova, ben due volte: in questo caso inserisce il codice di priorità B, che sulla base della tabelle dei Rao fissate dalla Regione avrebbe dovuto consentire l’esame entro dieci giorni dalla prescrizione.

Niente da fare: al Cup del Santa Maria della Misericordia la visita viene fissata ad ottobre. I due genitori non si danno per vinti, il pediatra consiglia di andare a cercare un suo amico medico, ma dalla corsia i due genitori vengono allontanati perché non giorno di visite, senza neanche che il dottore, che li aspettava, fosse informato. Un’odissea senza speranza finita in quel caldo pomeriggio di giugno, quando la cardiopatia fu anche, secondo l’accusa, scambiata e trattata per un problema respiratorio.

E stamattina, davanti al giudice Alberto Avenoso, si discuterà dell’archiviazione per i medici indagati: archiviazione contro cui si opporranno gli avvocati Mariella Billi e Pasquale Perticaro, forti anche della perizia del medico legale Sergio Scalise Pantuso che spiega come «una diagnosi tempestiva e un approccio terapeutico, pur non modificando il complesso anatomo-patologico, sono in grado di modificarne la negativa prognosi di base che si riassume nell’elevata possibilità di morte improvvisa».



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