Perugia, aria di svolta per Sandri. Spuntano gli acquirenti

Una delle vetrine della storica pasticceria Sandri
di Luca Benedetti
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Giovedì 17 Settembre 2020, 13:00
PERUGIA - La partita è delicata e va maneggiata con cura. Non solo perché dentro ci sono posti di lavoro in bilico, ma perché c’è anche il nome della città nella partita sul futuro della pasticceria Sandri.
Tutto chiuso da quando è scattato il lockdown e nessun segnale di un’inversione di tendenza. Settembre doveva essere un mese chiave, ma al momento le serrande lungo corso Vannucci, restano abbassate. Con un buco che fa effetto soprattutto quando la città, come è successo in agosto, si è riempe di turisti. Manca un pezzo della qualità e della storia che Perugia può mettere in mostra e offrire.
La partita è delicata, ma il fondo al tunnel qualche cosa si muove. Ci sarebbe l’interessamento di diversi imprenditori per provare rilevare la storica pasticceria. Un tam-tam che si insegue e che arriva anche lungo le scale di palazzo dei Priori dove qualcuno avrebbe fatto presente la voglia di buttarsi nella sfida. In Comune nessuno si sbilancia, è logico che la vicenda venga seguita con discrezione, ma con altrettanta attenzione. Troppo importante per l’immagine di Perugia la serranda alzata d un’attività storica che va bene oltre la città.
Sarebbero tre i soggetti interessati a una eventuale acquisizione di Sandri, compresa un’associazione imprenditoriale. Dei soggetti che si sono mossi nel corso degli ultimi mesi e delle ultime settimane facendo capire l’interesse per rilevare Sandri ci sarebbe una maggioranza di imprenditori locali dopo una voce arrivata anche da Roma.
Se il destino di Sandri interessa al Comune, al mondo del commercio dell’acropoli, non può non interessare al sindacato. Nei mesi scorsi sulla partita Sandri si è sempre mossa la Cgil.
«Ma abbiamo sempre avuto difficoltà - spiega Michele Greco segretario regionale della Flai Cgil- ad avere una interlocuzione con la proprietà della Sandri 1826 Spa. Anzi, ci è semopre stata negata. Al massimo siamo arrivati a parlare con il consulente dell’azienda. Ci era stato detto che il mese di settembre sarebbe stato uno snodo chiave per le decisioni, ma fino a oggi solo silenzio. Sappiamo che è stata prorogata la cassa integrazione Covid per i sette dipendenti rimasti, visto che uno è riuscito a trovare un altro posto di lavoro. Di positivo c’è che sono stati pagati gli stipendi fino a febbraio, mancano solo i gionri di luglio ante lockdown». Insomma, silenzi in attesa di capire come evolverà la situazione. Senza dimenticare che l’attività paga l’affitto dei locali in uso alla vecchia proprietà. E anche quello del canone di affitto è un nodo delicato su cui chi vuole mettere mano all’acquisizione dovrà lavorare.
Un quadro complesso nato, evidentemente, non soltanto con il blocco legato al lockdown. Quello è stato solo il passo che ha portato alla decisione di non riaprire e dimettere i dipendenti in cassa integrazione. Una decisione reiterata nel corso delle settimane che non hanno sbloccato una situazione difficile. Adesso ci sono le voci di una possibile svolta. Ma chi ha annusato l’aria di quello che potrebbe succedere, preferisce non fare previsioni su come finirà una partita, di fatto, tutta da giocare.
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