Nella foto d'archivio una sala operatoria
di Luca Benedetti
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Giovedì 16 Novembre 2017, 20:04
PERUGIA - Diciotto anni per avere giustizia. Tanto ha dovuto attendere una donna di Perugia dopo un intervento chirurgico alla schiena che l’ha resa invalida. Intervento all’epoca dei fatti, non convenzionale visto che si è trattato di una operazione con tecnica sperimentale di cui la paziente, hanno stabilito i giudici, non era stata informata. Diciotto anni di dolore, operazioni, rabbia e un primo processo civile in cui la giustizia aveva deciso che lei non aveva diritto ad alcun risarcimento per quello che è stato accertato così come errore medico.
Adesso la Corte d’Appello di Perugia, sezione civile, ha ribaltato tutto. E il collegio presieduto da Silvio Magrini Alunno (consigliere Salvatore Ligori, consigliere relatore Claudia Matteini) ha certificato un risarcimento di 722.317 euro che, con interessi e rivalutazione, supera il milione. Decisiva la nuova perizia affidata ai consulenti, il professor Mauro Bacci e il dottor Sandro Carletti.
La donna, 38 anni all’epoca dei fatti e mamma di una bambina di poco più di dieci, è stata assistita dall’avvocato Enrico Biscarini.
L’intervento fu effettuato il 14 settembre del 1999 nel reparto di Ortopedia dell’ospedale di Città di Castello e consisteva, spiegano i giudici, in una microdistectomia L5-S1, con l’applicazione di due Diam, cioè due ammortizzatori interspinosi. La donna partita con una diagnosi relativa alla colonna lombo sacrale di «iniziali segni di artrosi intersomatica», adesso si ritrova a muoversi su una sedia a rotelle e per battere il dolore nel 2010 le è stata impiantata all’Unità spinale unipolare dell’Azienda ospedaliera di Perugia una pompa a infusione intratecale continua di ziconotide «avente poteri analgesici comparabili a quelli della morfina». Dieci anni prima, uscita da Città di Castello e dalla riabilitazione di Umbertide, la paziente è stata trattata due volte alla Clinica del lavoro e riabilitazione Maugeri di Padova prima per l’impianto di un elettrostimolatore midollare provvisorio e poi per l’impianto di un neurostimolatore midollare. Dal novembre 2000 la donna ha avuto bisogno di bastoni per «svolgere le attività quotidiane».
Decisiva nel giudizio di secondo grado che ha condannato al risarcimento l’Azienda sanitaria Asl 1, la nuova consulenza disposta dal collegio d’Appello dopo che sono stati sostituti i periti individuati inizialmente perché come ex colleghi o come coautori di pubblicazioni, erano legati all’ortopedico che aveva effettuato l’intervento. «Elementi- sottolineano i giudici- che erano stati taciuti al momento del conferimento dell’incarico». Nella sentenza vengono sottolineate le lacune nella compilazione delle cartella clinica «in particolare nella documentazione relativa al ricovero- scrivono i giudici dell’Appello- non era presente alcuna traccia del diario clinico... ». Tra l’altro emerge che dell’applicazione dei due dispositivi, la paziente era a conoscenza dell’utilizzo solo di uno. «Agli atti- scrivono i giudici dell’Appello- manca completamente un’adeguata e completa informazione preliminare alla paziente. Il modulo relativo al consenso informato all’intervento, seppur datato e firmato dalla paziente, risulta del tutto sfornito della descrizione dell’intervento da eseguire».
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