Perugia, maxi rogo alla Biondi: sei indagati. Quattromila tonnellate di rifiuti fuorilegge

L'incendio alla Biondi recuperi
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Sabato 21 Gennaio 2023, 06:30

PERUGIA C’erano quasi quattromila tonnellate di rifiuti più del consentito, quella maledetta domenica 10 marzo 2019 alla Biondi recuperi ecologica di Ponte San Giovanni. A fornire infinita benzina a un fuoco che comunque si sarebbe potuto spegnere in tempo se la manutenzione dell’impianto antincendio fosse stata a norma. Eccoli spiegati, quasi quattro anni dopo, i motivi di quella nube nera in grado di tenere in ostaggio oltre 35mila persone. Un fumo che ha appestato l’aria a Ponte San Giovanni per poi “salire” fino a Ponte Felcino, Ponte Valleceppi, Bosco e Ponte Pattoli. Quasi un quarto di città con l’incubo di respirare o aver respirato diossina, e dunque molecole con proprietà estremamente tossiche e cancerogene sia per gli esseri umani che animali. E ancora, 17 scuole chiuse e prodotti della terra in quella zona rossa per diversi giorni assolutamente non commestibili.
Tutto ciò emerge dalle 17 pagine di avviso conclusione delle indagini con cui il procuratore aggiunto Giuseppe Petrazzini e il sostituto procuratore Laura Reale hanno formalmente iscritto nel registro degli indagati Daniel Mazzotti, Bruno Biondi, Cristian Rastelli, Mirco Migliorelli, Silvio Pascolini, Paolo Amadei e la stessa Biondi recuperi. Tutti indagati a vario titolo per aver allestito attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e di violazioni inerenti le normative antincendio. L’indagine è stata condotta dai carabinieri del Noe di Perugia. Accuse ovviamente ancora tutte da dimostrare.
Tornando a quel drammatico rogo Mazzotti, Biondi e Migliorelli sono indagati perché «per negligenza, imprudenza ed imperizia ovvero per non avere manutenuto l’impianto antincendio, che difatti non si attivava immediatamente all’inizio dell’evento incendiario, e per aver collocato (il Rastelli) il trituratore mobile di rifiuti nei pressi dei cumuli di rifiuti stoccati presso l’impianto di via Bina, mezzo da cui scaturiva l’innesco dell’incendio a causa di un cortocircuito elettrico prodottosi nel caricabatteria del telecomando del predetto macchinario, nonché per colpa specifica consistita nella violazione delle prescrizioni contenute nell’Autorizzazione Integrata Ambientale...cagionavano un incendio di vaste proporzioni a seguito del’incenerimento degli ingenti quantitativi di rifiuti urbani e speciali pericolosi e non stoccati». 
Ed eccoli i rifiuti fuorilegge. Perché, si legge nelle carte, nell’atto di rinnovo del certificato di prevenzione incendi del 2018 ci sarebbero state delle dichiarazioni false. Ovvero, i quantitativi di rifiuti combustibili nel certificato erano indicati in 1800 tonnellate mentre quelli «autorizzati e realmente gestiti» sarebbero stati «pari a 5.040 tonnellate di cui 2500 di plastica - è scritto nell’avviso conclusione indagini - 2500 di carta e cartone e 40 di pneumatici». Una differenza che avrebbe permesso ai legali rappresentanti di omettere «di adeguare l’impianto anti incendio ai quantitivi reali di materiali/rifiuti combustibili gestiti».
L’ALTRO FRONTE
Non solo. Perché il procuratore capo Raffaele Cantone spiega in una nota come i successivi accertamenti investigativi hanno messo in evidenza ulteriori criticità circa il trattamento dei rifiuti dal 2016 al 2019. Sono emerse condotte reiterate di abusiva gestione (in fase di «raccolta, trasporto, trattamento, recupero e commercializzazione») di rifiuti speciali pericolosi e non, sottoposti ad operazioni di trattamento solo dal punto di vista »cartolare«, con la predisposizione e l’utilizzo di formulari di identificazione di rifiuti recanti dati «incompleti o inesatti» ovvero falsi. Il quantitativo di rifiuti irregolarmente gestiti è stimabile in circa 9000 tonnellate, una quantità destinata ad essere sottoposta ai trattamenti previsti dalla normativa di settore, ma che di fatto veniva diretta verso altri centri di recupero o destinata illecitamente in discarica.
Logico aspettarsi la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli indagati.

Che, assistiti dai legali Nicola Di Mario, Michele Nannarone, Michele Bromuri, Lidia Braca, Gian Luca Pernazza e Luisa Liberatori avranno modo di spiegare la propria versione dei fatti.

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