Alberto, quel suono continuo nell'orecchio e la patologia non riscontrata: «Così in ospedale mi hanno salvato la vita»

Alberto, quel suono continuo nell'orecchio e la patologia non riscontrata: «Così in ospedale mi hanno salvato la vita»
di Egle Priolo
4 Minuti di Lettura
Venerdì 1 Ottobre 2021, 09:02

PERUGIA - «In ospedale a Perugia mi hanno salvato la vita». Lo ripete più volte, Alberto Beccafichi, e non certo per i problemi di memoria che gli ha causato – anche - la sua patologia. Lo ripete, perché non ci sono altre parole per raccontare i suoi ultimi mesi. Da quando una mattina si è semplicemente svegliato con un disturbo all'orecchio: un pulsare continuo, che è come avere una batteria in testa. Un fastidio notevole con cui convivere e che Alberto, quasi 70 anni di spirito gioviale ma combattivo, ha deciso di non subire. Era lo scorso 7 maggio e, dopo qualche giorno di ricerche e difficoltà, il 21 riesce a ottenere una visita in un centro privato. L'otorino della struttura non ha dubbi: per quell'acufene pulsante all'orecchio sinistro, l'esame «ortoscopico è nella norma».

Sarà anche nella norma, ma il disturbo continuo non è normale. E allora, via con nuovi accertamenti nello stesso centro, a cui Alberto si è sempre rivolto perché certo della loro professionalità. Utile ricordare, tra l'altro, come la sanità pubblica in quel periodo fosse ancora ingolfata da un inverno e dalla seconda primavera segnati dalla pandemia, tra liste d'attesa bloccate e ambulatori a singhiozzo. «Sono quindi andato nel solito centro, per velocizzare gli accertamenti – racconta -: il 3 giugno mi sono sottoposto a un esame radiologico al rachide cervicale, ma non è stato trovato nulla. Cioè, sono state rilevate varie patologie, ma nulla sull'acufene e sul mio disturbo». Il 23 giugno, allora, si tenta con una risonanza magnetica al cervello e tronco encefalitico, con e senza contrasto, sempre privatamente. E le conclusioni firmate dal dottore del centro parlano ancora di «referti nella norma».
A quel punto, Alberto quasi si convince di dover restare con quella grancassa nella testa e va in vacanza. Ma il 10 luglio deve rientrare immediatamente a Perugia. Il disturbo è diventato una crisi di eloquio. Sta male, arriva a dimenticare il nome dei suoi affetti più cari e viene ricoverato immediatamente al Santa Maria della misericordia. «Quegli episodi mi vengono meglio definiti come crisi epilettiche – spiega ancora molto turbato -. Erano le 3 di notte e mi ricoverano al reparto Stroke Unit, che unisce Medicina di urgenza interna e vascolare con Neuroradiochirurgia». Qui gli vengono eseguiti subito nuovi esami, tra cui una risonanza magnetica. E questa volta la diagnosi è molto diversa: altro che nella norma, Alberto ha una fistola artero venosa durale, in pratica una malformazione riscontrata nello spessore della dura madre, uno dei foglietti di rivestimento dell'encefalo. Insomma, non proprio una passeggiata. Con quel pulsare che era il messaggio che il corpo voleva inviare ad Alberto per fargli capire che qualcosa non andava. E lo hanno capito i medici dell'ospedale di Perugia. «Nonostante spesso si sottolinei come nei centri privati i macchinari siano magari più all'avanguardia – ci tiene a spiegare -, la differenza, come in questo caso, la fanno le persone». I sanitari di Perugia consigliano allora una «valutazione specialistica neuroangiografica interventista» e lo dimettono dopo quasi una settimana per discutere il suo caso «in ambito multidisciplinare per considerare le possibilità di trattamento della fistola durale», si legge sul referto. Un attendere importante perché il protagonista di questa storia arriva dieci giorni dopo: «Si trattava comprensibilmente di un intervento di natura molto delicata – racconta ancora Alberto – e si è scelto di farmi operare da un ottimo specialista: il dottor Mohammed Hamam, responsabile della Neuroradiologia, che il 27 luglio mi ha letteralmente salvato la vita. Ero a rischio di ictus e non si sa mai il decorso di queste cose, potevo restare su una sedia a rotelle o magari non essere più qui a raccontarlo». E invece, dopo un intervento di ben cinque ore in anestesia totale, su un paziente di quasi settant'anni, il dottor Hamam («Attraverso l'arteria, con uno strumento grande come un capello») ha compiuto «un'operazione perfetta».
«Due giorni dopo sono stato dimesso – conclude Alberto Beccafichi -: certo devo prendere farmaci anti epilettici, dovrò controllarmi, astenermi dalla guida e farmi seguire da uno psichiatra, ma sono vivo.

E sto bene. E per tutto questo devo ringraziare un medico e una struttura pubblica che mi hanno salvato la vita».

© RIPRODUZIONE RISERVATA