«Mia madre morta per un'infezione presa in ospedale»
La richiesta di risarcimento

«Mia madre morta per un'infezione presa in ospedale» La richiesta di risarcimento
di Luca Benedetti
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Domenica 13 Febbraio 2022, 12:46

PERUGIA Un calvario lungo quasi due mesi finito con la morte di un’anziana all’ospedale di Perugia. La famiglia, tramite l’avvocato Sandro Picchiarelli, ha chiesto i danni all’Azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia, puntando il dito contro un’infezione che non sarebbe stata impedita né ben curata e che avrebbe portato alla morte la donna di 79 anni. A chiedere i danni all’Azienda ospedaliera sono il figlio, il nipote e la nuora.
Il primo ricovero della donna è del 7 dicembre 2015, per problemi cardiaci. Otto giorni dopo, tra l’altro la paziente era stata trattata con una terapia antibiotica, le dimissioni. Il 21 dicembre un passaggio in Pronto soccorso per problemi respiratori. Pii il 26 dicembre un altro ricovero in urgenza con «trattamento intensivo». L’anziana, veniva intubata.
Durante il ricovero ci sono state almeno tre consulenze da parte degli specialisti di Malattie infettive. La donna è morta il 3 febbraio del 2016.
«Appariva subito chiaro che la causa della morte era la conseguenza di una infezione nosocomiale», scrive nel citare l’Azienda ospedaliera davanti al giudice civile l’avvocato Picchiarelli dopo l’esame delle cartelle cliniche e del decorso ospedaliero. 
I familiari hanno subito proposto un ricorso d’urgenza, il tribunale civile ha disposto un Ctu medico legale. Secondo quanto sottolineato nel ricorso presentato dai familiari «In effetti i CC.TT.UU., a seguito di una approfondita disamina, nelle conclusioni, danno atto che la causa della morte è da attribuirsi alle conseguenze della infezione ospedaliera, intempestivamente ed inadeguatamente trattata...».
Dagli accertamenti degli esperti nominati dal tribunale sarebbe emerso come il rischio di infezione ospedaliera di quel tipo è prevedibile ma non del tutto governabile. Anche con l’adozione di adeguate misure che ne limitano la diffusione in ambiente nosocomiale.
Un passaggio che, secondo i familiari della paziente deceduta, «basta a determinare responsabilità in capo all’Ente convenuto, perché i Consulenti affermano, intanto, non la assoluta “inevitabilità” di quel rischio “prevedibile”, ma più semplicemente che esso non può essere del tutto escluso anche a fronte della adozione di tutte le misure precauzionali, solo che qui quelle misure non furono adottate».
È logico che gli eredi(figlio, nipote e nuora) della donna morta dopo quasi due mesi di calvario, abbiano presentato il conto all’Azienda ospedaliera. Un conto che tiene conto dei 43 giorni passati in ospedale dalla donna, cioè la somma dei giorni dei due ricoveri. Con una applicazione di parametri e tabelle che tocca la cifra di 230 mila euro. Più è stato conteggiato anche quanto quella famiglia abbia perso per l’apporto della donna alla vita familiare. Conteggio fatto con l’aspettativa di vita in base ala pensione che l’anziana percepiva, una pensiona da circa 1300 euro la mese. Che, per chi assiste la famiglia che chiede i danni all’Azienda ospedaliera, veniva apportata praticamente in toto(circa mille euro al mese) al bilancio familiare. Quindi il conto del mancato apporto rispetto all’aspettativa di vita è di 72mila euro. Mentre i giorni passati in ospedale sono stati conteggiati in circa 230mila euro. 
L’Azienda ospedaliera di Perugia, che naturalmente punterà a dimostrare il corretto comportamento da parte dei propri professionisti, ha affidato l’incaico difensivo all’avvocato Mario Mattei. L’avvocato degli eredi della dona morta ha chiesto che venga svolto il processo civile o, anziché nelle forme del rito ordinario, con il rito semplificato previsto dagli articoli 702 bis e seguenti del Codice di procedura civile.
Quella modalità processuale è stata definita come “sommaria” non perché il Giudice abbia una cognizione parziale dei fatti, bensì alla luce della semplificazione della fase di trattazione e istruttoria che caratterizza il rito.

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