«Ho ucciso un uomo con la mia auto, ma non è colpa mia: non sapevo di non poter guidare»

«Ho ucciso un uomo con la mia auto, ma non è colpa mia: non sapevo di non poter guidare»
di Egle Priolo
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 13 Gennaio 2021, 13:03

PERUGIA - Una rotatoria, un anziano fuori dal suo Ape e poi all'improvviso quell'auto che accelera, lo scontro con altre due vetture e l'impatto violento contro il 72enne, morto sul colpo.

Una tragedia avvenuta nel 2016 a Bastiola e che ha lasciato nello sconcerto tutta Bastia, dove la vittima era molto conosciuta e amata. Una tragedia che però non si è ancora del tutto consumata visto che per quella morte è sotto processo un uomo che, secondo le risultanze delle perizie mediche, non sarebbe colpevole perché al momento dello scontro «versava in uno stato di piena incoscienza indipendente dalla sua volontà», come ribadito ieri in udienza dal suo legale Nicola Di Mario, che ha presentato una lunga memoria al giudice Natalia Giubilei prima della decisione attesa per il prossimo 2 febbraio.
Perché incosciente? Perché vittima di un improvviso attacco epilettico. E nessun medico gli aveva vietato di mettersi alla guida dopo la conclamazione della malattia. È questa, in estrema sintesi, la linea difensiva dell'uomo, che ha ucciso un incolpevole anziano in stato di completa incoscienza. «Questa particolare condizione soggettiva – scrive Di Mario nella sua memoria -, recidendo ogni collegamento tra la condotta e le funzioni cognitive che alla stessa presiedono, ha determinato un riflesso muscolare che, per la sua estraneità alla sfera psichica (effettiva) dell’autore, non può qualificarsi come atto di reale autodeterminazione a lui riferibile». E a supporto della difesa, l'avvocato ieri ha ricordato le diverse perizie a cui è stato sottoposto l'uomo alla guida dell'auto impazzita. «I consulenti (tecnici e sanitari) incaricati dalle parti – spiega l'avvocato -, dopo aver ricostruito la dinamica dell’incidente ed analizzato la documentazione clinica rilasciata all’odierno imputato, hanno riferito, in modo convergente, che la anomala accelerazione del veicolo fu determinata da una ipertonia muscolare degli arti inferiori innescata da una rapida ed improvvisa crisi epilettica».

Lo stesso consulente della procura, Luigi Marconi, rispondendo ai quesiti formulati, riferì come possibile che il «conducente sia stato colpito da un malore nell’approssimarsi alla rotonda in questione». Con il perito della difesa, Luigi Mirri, che confermò come l'incidente sia stato «conseguenza, verosimilmente, di un malore che determinò l’irrigidimento del piede destro sul pedale dell’acceleratore, l’autovettura proseguì con traiettoria rettilinea».

Il pm Mara Pucci ha ribadito con altrettanta determinazione le sue accuse, sottolineando come l'uomo, sapendo di essere malato di epilessia non avrebbe dovuto mettersi alla guida, ma qui la difesa è stata anche più determinata. Spiegando come nessuno degli specialisti che avevano avuto in cura l'uomo dopo le due precedenti «crisi comiziali» gli avessero vietato o lo avessero anche solo invitato a non guidare l'automobile. Con l'inizio della terapia farmacologica, infatti, in nessun documento è stata trovata questa indicazione e in aula si è visto lo scontro, nelle precedenti udienze, tra la sorella dell'imputato e la specialista che lo ha in cura sulla comunicazione (o meno) del divieto. «La scelta di porsi alla guida il giorno 16 maggio 2016 non costituì consapevole realizzazione di un atto pericoloso volontario ma, più semplicemente, iniziativa permessa dalle informazioni ricevute poiché i sanitari curanti non ebbero mai a 12 rappresentare, a seguito della assunzione farmacologica, il rischio di possibili ripetizioni di eventi comiziali», conclude l'avvocato Di Mario. La parola passa adesso al giudice Giubilei.

© RIPRODUZIONE RISERVATA