Morto con un ago nei polmoni.
I consulenti: «Ecco come ci è finito»

Morto con un ago nei polmoni. I consulenti: «Ecco come ci è finito»
di Enzo Beretta
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Venerdì 2 Dicembre 2022, 07:30

«In occasione di una iniezione di cocaina effettuata per via endovenosa sublinguale Vincenzo Bosco ha utilizzato una siringa da insulina, il cui ago si è accidentalmente distaccato dal corpo della siringa e, successivamente, durante un atto inspiratorio profondo è stato inalato nelle vie aeree andando a localizzarsi a livello del bronco, dove poi è stato rinvenuto. A nostro parere non esiste una differente ipotesi alternativa che possa giustificare in modo plausibile il rinvenimento dell’ago in quella sede. L’ago da insulina è estremamente leggero e di modestissime dimensioni, è verosimile che possa essere stato inalato durante un atto inspiratorio profondo (esempio sbadiglio) e migrato nelle vie aeree fino a localizzarsi nel bronco sinistro». Così scrivono i consulenti della Procura di Perugia, il medico legale Massimo Lancia e lo specialista in anestesia e rianimazione Andrea Arcangeli, nella relazione sulla morte di ‘Bonzetto’, 39 anni, deceduto a fine aprile all’ospedale di Perugia, dove si sarebbe dovuto sottoporre a un intervento chirurgico che non si è mai fatto in quanto al paziente è stato trovato un ago metallico da insulina lungo un paio di centimetri nei bronchi.

«Le cause del decesso sono da ricondursi a una grave insufficienza respiratoria acuta secondaria ad una polmonite, favorita dalla presenza di un corpo estraneo (ago da insulina) localizzato nel bronco sinistro in un paziente affetto da molteplici patologie tra cui epatite cronica da Hcv, asma bronchiale, epilessia, obesità. È verosimile - proseguono i medici - che la polmonite sia stata favorita anche dalla recente infezione virale da Sars-Cov-2» ma, in ogni modo, «Bosco era affetto da patologie pregresse che avrebbero sconsigliato l’esecuzione dell’intervento chirurgico previsto». In seguito alla morte di ‘Bonzetto’ il pm ha iscritto nel registro degli indagati i nomi di due otorinolaringoiatri, due anestesisti e due infermieri. Secondo Lancia e Arcangeli «l’operato dei medici anestesisti rianimatori dell’Azienda ospedaliera di Perugia che ebbero modo di prestare la loro assistenza a Vincenzo Bosco fu pienamente rispettoso delle linee guida e delle buone pratiche mediche.

Si può affermare con assoluta certezza che nessun elemento di responsabilità può essere loro ascritto. Un’attenta lettura della documentazione clinica ha permesso di escludere in modo certo negligenze o superficialità nella condotta medica e nelle decisioni cliniche adottate». Le primissime «indagini chimico-tossicologiche eseguite sui liquidi biologici e parti di organi» della vittima «non avevano evidenziato la presenza di sostanze psicotrope, allucinogene e stupefacenti», ulteriori accertamenti sui peli però hanno consentito di isolare «la presenza di cocaina (1,19 ng/mg) e benzoilecgonina (0,001)». «La compagna era convinta che da oltre 10 anni egli non facesse più uso di sostanze stupefacenti - si legge nelle 49 pagine - ma gli accertamenti tossicologici effettuati sui peli pubici hanno confermato in modo inequivocabile che facesse uso di cocaina. L’esame tossicologico dimostra con certezza che nei 6-7 mesi precedenti avesse assunto cocaina». «Per via endovenosa la cocaina raggiunge immediatamente il suo picco plasmatico - spiegano -. Riguardo il caso in questione non è possibile affermare con certezza quale fosse la via più frequentemente utilizzata da Vincenzo Bosco ma è verosimile che egli utilizzasse anche la via endovenosa, e ciò è provato dal rinvenimento dell’ago da insulina a livello bronchiale. è possibile ipotizzare che Bosco per nascondere ai familiari e in particolare alla compagna l’impiego delle droghe utilizzasse anche la lingua come sito di iniezione». E che «l’ago fosse presente già da molto tempo nel bronco di Bosco sarebbe confermato anche dalla comparsa di una tosse persistente che si era manifestata durante l’autunno 2021».

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