Morte del piccolo Alex, la mamma chiede di uscire dal carcere. Il gip: «No, pericolo di fuga»

Katalina Erzsebet Bradacs e il figlio Alex
di Egle Priolo
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Martedì 25 Ottobre 2022, 07:12

PERUGIA - È in carcere da un anno e 24 giorni, ha chiesto di poter uscire e proseguire la sua custodia in una struttura protetta, ma il giudice ha detto no: gli indizi a suo carico sono gravi e c'è pericolo di fuga. Niente da fare, quindi, per Katalina Erzsebet Bradacs, la donna ungherese di 44 anni accusata di omicidio volontario aggravato per la morte del figlio Alex Juhasz, ucciso a coltellate a Po' Bandino il primo ottobre del 2021.

Bradacs, fatta arrestare dal sostituto procuratore Manuela Comodi a poche ore dall'omicidio, in vista dell'inizio dell'udienza preliminare a suo carico, tramite l'avvocato Enrico Renzoni ha avanzato al giudice per le indagini preliminari Angela Avila una richiesta per la sostituzione della custodia cautelare in carcere con il ricovero in una struttura residenziale protetta. La difesa, dopo aver sostenuto l'incapacità di intendere e di volere, ha infatti fatto perno su parte della seconda perizia eseguita sulla donna per ribadire la necessità di un diverso regime di custodia. Se la prima perizia disposta dal gip parlava di infermità mentale, la seconda – richiesta con forza e ottenuta dal pm – l'ha negata, almeno quella totale. In quasi cento pagine, infatti, i professori Marco Marchetti, Mariano Cingolani e Francesca Baralla hanno chiuso le porte all’ipotesi di incapacità di intendere e di volere - e quindi di non incriminabilità – di Bradacs: il collegio peritale ha evidenziato invece come l’uccisione del bambino fosse stata più volte minacciata dalla madre, che poi avrebbe posto in essere anche alcuni depistaggi, compreso il cellulare reso inutilizzabile dopo l'invio di messaggi a parenti e amici dopo l'omicidio. I periti hanno quindi ritenuto che la consapevolezza dell’azione sia stata molto elevata, evidenziandone una possibile riduzione in relazione al suo stato psichico complessivo al momento dell’omicidio. «In mancanza di una sufficientemente precisa ricostruzione da parte di Katalina Erzsebet Bradacs, del suo stato mentale, al momento del fatto – si legge infatti nella lunga perizia -, si può, al massimo ipotizzare una parziale influenza del quadro psicopatologico individuato, nel prodursi dell’omicidio del figlio che, in termini forensi, si può tradurre nella possibile presenza nell’indagata, al momento del fatto, di una grandemente scemata, ma non esclusa, capacità di intendere e di volere». E sul quel «grandemente scemata» si è basata allora la richiesta di Bradacs, che il gip però ha negato e a cui si erano opposti sia il pm Comodi che l'avvocato Massimiliano Scaringella, legale di Norbert Juhasz, papà di Alex.
Il giudice Avila infatti ha ritenuto non solo impregiudicata la gravità indiziaria ma ha ritenuto esistere un concreto pericolo che Bradacs possa commettere ulteriori reati della stessa indole. Oltre a evidenziare un'alta probabilità del pericolo di fuga, considerando la prontezza con cui la donna si è sottratta ai provvedimenti dell’autorità ungherese, scappando con il bambino di soli due anni nel momento in cui il tribunale lo aveva affidato al padre dopo una lunga battaglia giudiziaria. Una fuga verso Roma e la Toscana (dove aveva lavorato), finita in quel casolare abbandonato a Po' Bandino in cui, secondo le accuse, ha ucciso il figlio con sette coltellate a collo, addome e torace.
Un provvedimento molto duro, quello del gip, che arriva a due settimane dall'inizio dell'udienza preliminare: dall'8 novembre, infatti, Bradacs si presenterà davanti al gup Margherita Amodeo per difendersi dalle accuse di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dall'essere stato commesso contro un discendente.

Il giudice dovrà decidere se mandarla a processo per accuse per cui adesso rischia l'ergastolo.

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