«Morta in mare per venire
a prostituirsi a Perugia»

Una giovane schiava delle organizzazioni criminali nigeriane a Pian di Massiano
3 Minuti di Lettura
Domenica 28 Aprile 2019, 17:21
PERUGIA - «Una ragazza è morta annegata». «Sì, è caduta in mare e non è riuscita ad afferrare il salvagente. L’hanno soccorsa ma è deceduta in nave, verrà seppellita in Italia». C’è anche il dramma della piccola Faith, minorenne nigeriana annegata durante la traversata del Mediterraneo, nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Perugia Lidia Brutti che ha portato in carcere la “Mamma” dell’African Shop di via Sicilia e suo marito con le accuse di tratta e sfruttamento della prostituzione. «Una delle ragazze è riuscita a passare mentre la più piccola non ce l’ha fatta ed è morta - viene intercettato dalla squadra mobile -. È morta durante il trasbordo sulla nave dei soccorritori. È stata colpita da un malore». Nelle carte dell’indagine perugina ci sono anche le ultime parole pronunciate dalla vittima poco prima di morire: «Sono a Gatron, in Libia, non sono più con le mie compagne. Sono sola, le altre sono andate via senza di me. Ho fame, non ho più soldi,nonmangio datregiorni…».

CONDIZIONI DISUMANE
«Le giovani trafficate - scrive il gip - una volta arrivati in Italia erano costrette a prostituirsi per ripagare il debito di ingaggio contratto per poter affrontare il trasferimento attraverso il canale libico. Private dei documenti erano costrette a consegnare il 50% agli sfruttatori finché non estinguevano il debito di 25 mila euro». La “ribelle” che si è rifiutata di vendere il proprio corpo a Pian di Massiano ha dato i lvia alle indagini quando è riuscita a scappare. Secondo quanto ricostruito, la titolare dell’African shop cercava di avviarla alla prostituzione consegnandole l’abbigliamento da indossare più un sacchetto con creme e profilattici. Poi la faceva accompagnare nella zona dello stadio Curi. Lei, però, si era tenuta in disparte mentre le altre avvicinavano i clienti. Due giorni più tardi la ‘Mamma’ era sembrata intransigente: «Non hai scelta». Quando la giovane è scappata urlava: «Non avrà pace nella sua vita, ha sprecato tutti soldi che ho speso per lei. È andata via, l’ho chiamata e ha detto che la polizia l’aveva arrestata e invece non era vero, è scappata, è ritornata al centrodi accoglienza». Le indagini hanno «evidenziato i vari passaggi del traffico di esseri umani dall’Africa sub sahariana per avviare le giovani alla prostituzione in Europa».

Nelle carte si parla della «esposizione dei migranti a grave pericolo per la loro vita» e dei «trattamenti inumani». Stando a quanto ricostruito dal pm Manuela Comodi le donne reclutate contraggono un debito con i proponenti da ripagare mediante i guadagni del lavoro in Italia. Il patto viene «siglato con un rito voodoo» accompagnato dalla minaccia di morte per le giovani ingaggiate e per i loro familiari in caso di mancato riscatto. In questo incubo le «ragazze vengono ristrette nei ghetti, sottoposte a privazioni alimentari e a violenze fisiche». Le giovani raggiungono la Libia attraverso il Niger, in Libia vengono trattenute nella regione desertica e poi trasferite sulla costa mediterranea per essere imbarcate insieme a molti altri migranti a bordo di imbarcazioni fatiscenti. «L’organizzazione dell’immigrazione clandestina - si legge - implica l’esposizione dei migranti a grave pericolo per la loro vita, l’imbarco in condizioni di sovraffollamento rende precaria la stabilità delle imbarcazioni». Prosegue il giudice: «Le condizioni sociali ed economiche da alcuni dei paesi di provenienza degli esseri umani oggetto di traffico sviliscono la dignità della persona. E poco importa che siano le vittime o i familiari a rivolgersi alle organizzazioni criminali per sfuggire alle condizioni di vita disumane deipaesidi origine»
© RIPRODUZIONE RISERVATA