CONDIZIONI DISUMANE
«Le giovani trafficate - scrive il gip - una volta arrivati in Italia erano costrette a prostituirsi per ripagare il debito di ingaggio contratto per poter affrontare il trasferimento attraverso il canale libico. Private dei documenti erano costrette a consegnare il 50% agli sfruttatori finché non estinguevano il debito di 25 mila euro». La “ribelle” che si è rifiutata di vendere il proprio corpo a Pian di Massiano ha dato i lvia alle indagini quando è riuscita a scappare. Secondo quanto ricostruito, la titolare dell’African shop cercava di avviarla alla prostituzione consegnandole l’abbigliamento da indossare più un sacchetto con creme e profilattici. Poi la faceva accompagnare nella zona dello stadio Curi. Lei, però, si era tenuta in disparte mentre le altre avvicinavano i clienti. Due giorni più tardi la ‘Mamma’ era sembrata intransigente: «Non hai scelta». Quando la giovane è scappata urlava: «Non avrà pace nella sua vita, ha sprecato tutti soldi che ho speso per lei. È andata via, l’ho chiamata e ha detto che la polizia l’aveva arrestata e invece non era vero, è scappata, è ritornata al centrodi accoglienza». Le indagini hanno «evidenziato i vari passaggi del traffico di esseri umani dall’Africa sub sahariana per avviare le giovani alla prostituzione in Europa».
Nelle carte si parla della «esposizione dei migranti a grave pericolo per la loro vita» e dei «trattamenti inumani». Stando a quanto ricostruito dal pm Manuela Comodi le donne reclutate contraggono un debito con i proponenti da ripagare mediante i guadagni del lavoro in Italia. Il patto viene «siglato con un rito voodoo» accompagnato dalla minaccia di morte per le giovani ingaggiate e per i loro familiari in caso di mancato riscatto. In questo incubo le «ragazze vengono ristrette nei ghetti, sottoposte a privazioni alimentari e a violenze fisiche». Le giovani raggiungono la Libia attraverso il Niger, in Libia vengono trattenute nella regione desertica e poi trasferite sulla costa mediterranea per essere imbarcate insieme a molti altri migranti a bordo di imbarcazioni fatiscenti. «L’organizzazione dell’immigrazione clandestina - si legge - implica l’esposizione dei migranti a grave pericolo per la loro vita, l’imbarco in condizioni di sovraffollamento rende precaria la stabilità delle imbarcazioni». Prosegue il giudice: «Le condizioni sociali ed economiche da alcuni dei paesi di provenienza degli esseri umani oggetto di traffico sviliscono la dignità della persona. E poco importa che siano le vittime o i familiari a rivolgersi alle organizzazioni criminali per sfuggire alle condizioni di vita disumane deipaesidi origine»
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