Mobbing, la battaglia vinta
dal dirigente Asm dopo 12 anni

Mobbing, la battaglia vinta dal dirigente Asm dopo 12 anni
di Corso Viola di Campalto
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Mercoledì 9 Ottobre 2019, 12:15 - Ultimo aggiornamento: 12:40
L'ingegnere ternano dell'Asm Leonardo Carloni, dirigente del servizio ambientale, ha avuto giustizia. Ma solo a metà e dopo 12 anni dai fatti. Grazie alla sentenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto come all'epoca fosse stato certamente vittima di condotte vessatorie e talvolta ingiuriose da parte del suo superiore, l'ex direttore generale Maurizio Onori (deceduto da poche settimane). Un lunghissimo iter giudiziario che ha avuto inizio con la prima sentenza del tribunale di Terni del 2016 quando l'ingegnere Onori è stato condannato per il reato di maltrattamenti in famiglia perpetrato ai danni di Carloni ad un anno di reclusione. La Corte di Appello di Perugia, due anni dopo, nel 2018, ha riformato la sentenza ritenendo non configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia in considerazione delle dimensioni dell'azienda Asm e riconducendo la condotta, in parte, al reato di abuso dei mezzi di correzione, tuttavia prescritto. Altri due anni e nel giugno scorso la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di Appello. Riconoscendo di fatto anche le motivazioni durissime che hanno portato alla condanna da parte del tribunale di Terni (collegio presieduto da Massimo Zanetti, giudici a latere Simona Tordelli e Angelo Matteo Socci). Un processo nato dopo cinque anni di inchieste e un esposto degli operai dell'inceneritore gestito dall'Asm e chiuso nel lontano 2008. La sentenza ha puntato il dito sul clima aziendale dell'Asm: «Un'azienda politicizzata, con i dipendenti assunti senza concorso pronti solo ad ubbidire, al momento dell'assunzione corrispondeva, però, la consapevolezza di dovere necessariamente esprimere costante gratitudine verso i vertici aziendali, per non perdere il favore esistente al momento dell'assunzione».
Secondo i giudici i fatti descritti nel capo di imputazione sono tutti provati nella loro materialità, riconoscendo espressamente l'attendibilità e la fermezza dello stesso dirigente: «L'ingegnere Carloni si legge ancora nella motivazione è stato sistematicamente disatteso nelle sue proposte, censurato per situazioni del tutto trascurabili, utilizzato per colpire altri dipendenti, esautorato di fatto dalle deleghe conferite, violato nella sua riservatezza (apertura di corrispondenza a lui diretta e mancato recapito della stessa), costantemente denigrato in occasione delle riunioni alle quali partecipava fino all'episodio culminato nell'averlo abbandonato fuori dall'ufficio ove avveniva la riunione, benché si fosse sentito male a tal punto da rendere necessario l'intervento del 118. L'intento finale - scrivono i giudici - era quello di isolare Carloni e di indurlo a dimettersi dall'Asm».
Una guerra vinta in parte, perché nelle sentenze non si parla ancora del reato di mobbing: «Purtroppo - dice l'avvocato Patrizia Bececco - pur essendo l'Italia Paese che ha aderito alle disposizioni europee per fronteggiare i maltrattamenti sul luogo di lavoro, non prevede il reato di cosiddetto mobbing. Fino a pochi anni fa l'indicazione di reato cui far riferimento per i maltrattamenti sul posto di lavoro, in mancanza di specifica normativa, era il reato di maltrattamenti in famiglia, mutuato dal fatto che molte imprese in Italia sono a conduzione familiare. Per questo motivo la battaglia si sposterà in sede europea per richiedere un ulteriore intervento verso lo Stato italiano per l'approvazione di una legge specifica sul mobbing, al pari di altri paesi europei».
 
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