Covid, medico di famiglia morto per il virus, i parenti fanno partire un'inchiesta: «È omicidio»

Medico di famiglia morto di Covid, i parenti fanno partire un'inchiesta: «È omicidio»
di Egle Priolo
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Venerdì 27 Novembre 2020, 08:20 - Ultimo aggiornamento: 13:40

Per la morte di Stefano Brando, amatissimo medico di famiglia di Perugia stroncato dal Covid a 62 anni, adesso c'è un fascicolo in procura sulle scrivanie del procuratore capo Raffaele Cantone e dell'aggiunto Giuseppe Petrazzini. L'accusa è di omicidio colposo, al momento contro ignoti.

Questo il doloroso strascico del dramma che ha investito la famiglia Brando da quando, il 19 novembre, il professionista si è dovuto arrendere al virus in un letto del Santa Maria della misericordia, in un triste giorno di nebbia. Una delle figlie, poche ore dopo la morte, si era lasciata andare sui social, raccontando dubbi e chiedendo verità in un post poi cancellato, mentre la moglie, affranta e disperata, cercava una ragione a un dolore così immenso. Ma evidentemente le lacrime hanno avuto il bisogno di essere convogliate, indirizzate verso un obiettivo più semplice da gestire, qualcosa a cui aggrapparsi per non impazzire. E così la famiglia ha presentato un esposto in procura chiedendo a magistrati sensibili e accorti di capire come sia morto un marito e un padre ancora nel pieno delle sue forze. Che quel maledetto virus che lo ha ucciso in poco più di tre settimane lo ha preso quasi sicuramente facendo il suo mestiere, curando i suoi pazienti. E nonostante mille accortezze, nonostante fosse noto – come raccontato dai colleghi – quanto stesse attento durante le visite, purtroppo il Covid ha scelto lui come una delle vittime.

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Ma c'era qualcosa che si poteva fare e non si è fatto per evitare questo decesso? È quello che deve scoprire la procura della Repubblica, che ha affidato le indagini alla questura.

La polizia dovrà far luce sulle ombre che la famiglia ha nel cuore, sulla rabbia per la mancanza dei dispositivi di protezione forniti ai medici di base, sui tempi per un tampone, sui dubbi per un ricovero in Terapia intensiva considerato forse poco tempestivo, sui posti che sembravano mancare ma anche su quelle ambulanze tornate in ospedale senza di lui «che da medico si poteva curare anche da solo». Accuse pesanti, certamente dettate anche dallo sgomento, ma tutte chiaramente da verificare e accertare.

IL SEQUESTRO
Per questo motivo, è stato richiesto il sequestro delle cartelle cliniche di Brando ma anche la registrazione delle telefonate al 118. Mentre la procura ha già disposto l'autopsia sul corpo del medico, attualmente ritornato dal cimitero monumentale in cui si sono svolti i funerali nelle celle frigorifere dell'obitorio in attesa del trasferimento al Gemelli di Roma. Le autopsie dei malati di Covid infatti non si possono effettuare a Perugia e saranno professionisti romani a occuparsene, alla ricerca della verità pur nella difficoltà di stabilire da un esame autoptico se le cure siano state sbagliate o ritardate (come recitano i dubbi della famiglia) davanti a un virus così imprevedibile.
Come imprevedibile è il decorso dell'indagine, tra le poche in Italia dall'inizio della pandemia, quando anche gli avvocati avevano accolto compatti la richiesta di non fare causa contro i medici coinvolti in morti da coronavirus. Ma è chiaro come, davanti al dolore cieco, anche solo la ricerca disperata di una verità che non si può derubricare solo a “destino” diventi il salvagente per non affogare nel buio di una perdita.
La città di Perugia è pronta a omaggiare la professionalità di Stefano Brando con un riconoscimento del Comune per ricordare «l'esempio e la dedizione» rivolti da sempre dal dottore ai suoi pazienti. Che non lo dimenticheranno mai, in un abbraccio alla famiglia che non smette di farsi sentire.

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