«Medico miserabile e incapace». Per un post su Facebook paziente finisce direttamente a processo. «Basta leoni da tastiera»

«Medico miserabile e incapace». Per un post su Facebook paziente finisce direttamente a processo. «Basta leoni da tastiera»
di Egle Priolo
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Venerdì 2 Ottobre 2020, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 08:25
PERUGIA - Il medico del pronto soccorso? «Miserabile». «Non capace». «N'è bono». «Laureato per rabbia di fame». Tutte frasi che, nonostante la tara per l'apprensione dovuta a una mamma malata e dolorante, sarebbero pesanti dette di persona, ma scritte sul proprio profilo Facebook non possono che essere diffamazione. Anche più grave, visto il pubblico certamente più ampio raggiunto da un post rispetto a una vibrante lamentela sul posto. Una lezione che ha imparato Antonella P., la donna di 54 anni che è finita sul banco degli imputati per uno sfogo quanto meno poco urbano affidato ai social. La donna ha infatti ricevuto un decreto di citazione a giudizio dal pubblico ministero Massimo Casucci, con il processo a suo carico che inizierà il prossimo 9 dicembre davanti al giudice Serena Ciliberto.

Una storia che inizia il 10 febbraio 2019, quando Antonella racconta sul proprio profilo Facebook del passaggio – il giorno prima - al pronto soccorso del Santa Maria della misericordia per far visitare l'anziana madre che aveva un problema a una gamba. La donna posta il referto ricevuto dopo la visita, corredato da queste frasi: «Siamo incappate con un medico che medico non dovrebbe essere. Ma sto “medico” del c... cosa ci sta a fare al pronto soccorso, solo per lo stipendio o mi sbaglio? Non è capace nemmeno di vedere e capire una tromboflebite con una gamba gonfia, rossa e calda. L'ho capito io... e questo miserabile è pure pagato per fare il medico, che poi n'è bono! Mortacci sua. Diffidare dai medici laureati per rabbia di fame come (quel) dottore del pronto soccorso di Perugia».
Insulti troppo pesanti perché il dottore, assistito dall'avvocato Marco Brusco, non la portasse in aula per tutelare la propria dignità professionale. E la donna, durante l'interrogatorio davanti alla polizia postale, ha già provato a difendersi. Non smentendo di essere l'autrice del post (visto che il profilo Facebook non è a suo nome), ma spiegando i motivi dietro il suo sfogo diffamatorio. Assistita dall'avvocato Saschia Soli, ha infatti, spiegato di essersi «limitata a narrare un fatto realmente accaduto inerente l'accesso di mia madre al pronto soccorso», ribadendo come il dottor non avrebbe «adeguatamente verificato le condizioni di salute di mia madre, limitandosi a redarre un referto superficiale, mettendo in serio pericolo la sua vita. Dopo circa 24 ore mia madre è stata ricoverata nel reparto di medicina vascolare di urgenza ove è stata riscontrata una trombosi venosa profonda, che evidentemente è patologia grave considerata anche l'età di mia madre. Ho quindi pubblicato il referto che è stato rimosso quasi subito dal mio account. Ero molto alterata dalla superficialità mostrata dal medico».

Ora toccherà al giudice stabilire se l'eventuale superficialità del professionista possa essere una giustificazione all'attacco via social, oppure no. Cioè, se il punto sia sostenere le proprie ragioni o il modo insultante in cui lo si fa, guidati dalla rabbia del momento. Di certo, in un momento in cui è forse diventato troppo facile scrivere qualsiasi pensiero su Facebook nascondendosi dietro un monitor e pensando non ci possano essere conseguenze, è indicativo un processo per gli insulti sui social. Che fanno passare dal virtuale al (duro) reale. «È insopportabile che i medici che stanno quotidianamente in prima linea – è il commento dell'avvocato Marco Brusco -, debbano essere ingiustamente dileggiati dai soliti leoni da tastiera. Mi auguro che questa odiosa prassi finisca prima o poi».
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