Il dramma dei medici in corsia o in studio senza protezioni
«Fate sapere ai giornalisti come lavoriamo»

Il dramma dei medici in corsia o in studio senza protezioni «Fate sapere ai giornalisti come lavoriamo»
di Vanna Ugolini
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Martedì 24 Marzo 2020, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 08:10

«Bisogna che la stampa sappia come lavoriamo. Bisogna fare risonanza presso testate giornalistiche a tutela di medici e pazienti. Vi prego, datemi supporto».
Le richieste di aiuto dei medici e degli infermieri a Terni viaggiano via whatsapp e non è facile intercettare la gravità delle situazioni.

Nonostante l'appoggio dei sindacati di categoria e dell'Ordine dei medici, che fin da subito hanno fatto pressing per avere, soprattutto, i presidi necessari per la sicurezza, in primis le mascherine filtranti, molti camici bianchi ritengono di non lavorare in sicurezza ma non si vogliono esporre in prima persona, temendo di perdere il lavoro o, perlomeno di incorrere in una sanzione disciplinare.

Un clima di tensione che si percepisce sotto traccia, si sente in maniera palpabile ma fatica ad emergere. E che si concretizza con la decisione, per più di sanitario, di lasciare la famiglia, andare a vivere da solo, magari nelle seconde case per non mettere in pericolo i propri familiari.
E' difficile verificare di persona la situazione visto che gli accessi in ospedale sono contingenti. Si può dire con sicurezza che fino a questo momento chi non lavorava nei reparti in cui sono ricoverati i pazienti Covid-19 non è stato dotato di mascherine con il filtro anche se c'è stato più di un caso in cui pazienti ricoverati con patologie che niente avevano a che vedere con il coronavirus si sono poi rivelati positivi. E se proprio in queste ore i dispositivi stanno arrivando, sia al Santa Maria sia ad Orvieto (in questo caso grazie alla donazione della Fondazione Cro), in prima linea restano i medici di base.

Anche da parte loro è difficile, se non impossibile, avere delle dichiarazioni ufficiali. Quello che trapela è che le mascherine sono insufficienti, «quindi siamo costretti a portarle per più ore rispetto al loro potenziale filtrante. Così succede che i nostri pazienti sono protetti grazie al tessuto della mascherina. Invece noi, quando il filtro è fuori uso, siamo a rischio di contrarre il virus».
A un mese dall'inizio dell'emergenza, dunque, mentre le procedura per il trattamento dei pazienti positivi al coronavirus sembra essersi consolidata, alla filiera che dovrebbe tutelare gli operatori della sanità mancano ancora dei pezzo importanti. Troppo importanti.
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