Perugia, per il maxi rogo alla Biondi in sei ora rischiano il processo. Ambientalisti pronti a chiedere i danni

Il rogo alla Biondi Recuperi
di Egle Priolo
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Martedì 21 Marzo 2023, 10:00

PERUGIA - Traffico illecito di rifiuti, incendio colposo, falso ideologico e violazioni al codice dell'ambiente in danno alla salute pubblica. Sono le contestazioni da cui si dovranno difendere i sei indagati dopo il rogo alla Biondi recuperi del marzo di quattro anni fa: il prossimo 9 maggio i sei accusati, a vario titolo, dalla procura di Perugia - più la stessa società di Ponte San Giovanni – si presenteranno davanti al giudice Margherita Amodeo per l'udienza preliminare in cui dovrà decidere se accogliere la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dai pm Giuseppe Petrazzini e Laura Reale.

Era domenica 10 marzo del 2019 quando una nube nera si è alzata dalla sede della Biondi in via Bina ed è arrivata fino a Ponte Felcino, Ponte Valleceppi, Bosco e Pone Pattoli: un fumo denso e scuro che ha appestato l'aria, costringendo i residenti a chiudersi in casa per i rischi legati al respirare quell'aria tossica. Perché a bruciare sono stati rifiuti, «speciali pericolosi e non stoccati», come sottolineato nella richiesta di processo che la procura ha notificato a Daniel Mazzotti, Bruno Biondi, Cristian Rastelli, Mirco Migliorelli, Silvio Pascolini, Paolo Amadei e la stessa Biondi.
Le accuse, come detto, sono a vario titolo e, per esempio, Mazzotti, Biondi, Migliorelli e Rastelli (rispettivamente legale rappresentante, responsabile tecnico degli impianti, dipendente responsabile operativo e dipendente della Biondi) dovranno difendersi – assistiti da Nicola Di Mario, Michele Nannarone, Gian Luca Pernazza, Luisa Liberatori e Francesco Falcinelli – dall'accusa di aver cagionato «per negligenza, imprudenza ed imperizia ovvero per non avere manutenuto l’impianto antincendio, che difatti non si attivava immediatamente all’inizio dell’evento incendiario, e per aver collocato (il Rastelli) il trituratore mobile di rifiuti nei pressi dei cumuli di rifiuti stoccati presso l’impianto di via Bina, mezzo da cui scaturiva l’innesco dell’incendio a causa di un cortocircuito elettrico prodottosi nel caricabatteria del telecomando del predetto macchinario» un incendio «di vaste proporzioni a seguito dell’incenerimento degli ingenti quantitativi di rifiuti urbani e speciali pericolosi e non stoccati».

Rifiuti fuorilegge, come spiegava a gennaio il procuratore capo Raffaele Cantone, perché nell’atto di rinnovo del certificato di prevenzione incendi del 2018 ci sarebbero state delle dichiarazioni false. Ovvero, i quantitativi di rifiuti combustibili nel certificato erano indicati in 1.800 tonnellate mentre quelli «autorizzati e realmente gestiti» sarebbero stati «pari a 5.040 tonnellate di cui 2500 di plastica 2500 di carta e cartone e 40 di pneumatici». Una differenza che avrebbe permesso ai legali rappresentanti di omettere «di adeguare l’impianto anti incendio ai quantitativi reali di materiali/rifiuti combustibili gestiti».

Ma non solo. Perché sempre secondo le accuse ancora tutte da dimostrare, i successivi accertamenti investigativi avrebbero messo in evidenza ulteriori criticità circa il trattamento dei rifiuti dal 2016 al 2019. Sarebbero emerse condotte reiterate di abusiva gestione di rifiuti speciali pericolosi e non, con la predisposizione e l’utilizzo di formulari di identificazione di rifiuti recanti dati «incompleti o inesatti», ovvero falsi secondo la procura. Il quantitativo di rifiuti irregolarmente gestiti sarebbe stimabile in circa 9.000 tonnellate, una quantità destinata a essere sottoposta ai trattamenti previsti dalla normativa di settore, ma che di fatto veniva diretta verso altri centri di recupero o destinata illecitamente in discarica, in base alla ricostruzione accusatoria che segue le indagini svolte dai carabinieri del Noe.
Nel corso dell'udienza preliminare, i sei indagati e la Biondi – tra gli altri avvocati anche Michele Bromuri e Roberto Spolti – avranno modo di dimostrare la correttezza del proprio operato e di chiedere il proscioglimento da tutte le accuse. Mentre il Comitato Molini di Fortebraccio, assistito dall'avvocato Valeria Passeri, riconosciuto come parte offesa, è pronto a costituirsi parte civile e a chiedere il risarcimento danni.

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