Marcello Macchia, è da molto che aveva in mente questo progetto?
Non esattamente, covavo però l'idea di potermi sbizzarrire a livello creativo senza dover rendere conto a un genere specifico. Parlo di formalità, di cliché, inquadrature…
Alla fine però The Generi non si basa proprio su quelle caratteristiche?
Sì, ma rispecchia anche la mia esigenza di voler cambiare sempre, perché in ogni puntata entravo in un mondo nuovo. Di sicuro non mi sono annoiato, è stato bellissimo ma anche un vero delirio realizzarlo!
Per stravolgere dei generi bisogna conoscerli a fondo, è così?
Io ho una conoscenza abbastanza approfondita, però non eccessivamente. Sono un cinefilo medio. Nello scrivere la serie ho quindi approfondito determinati filoni, mentre in altri casi ho semplicemente ricordato dei miei amori… come quello per l'horror, un genere stracolmo di cliché!
E per la puntata sulla commedia sexy?
Ammetto che ho dovuto studiare! E' un genere che non ho seguito perché nella seconda metà degli anni '80 ero ancora piccolo. Quella è una puntata che sembra volgere all'indietro e invece è un motivo per esaminare la realtà di oggi: c'è molta satira sociale, partendo da un confronto tra cosa faceva ridere a quel tempo o alla condizione della donna in quei film, ma anche l'uso che si faceva delle parolacce.
Il protagonista della serie, Gianfelice Spagnagatti, è convinto che uscire di casa sia ormai una cosa superata visto che c'è la tecnologia. Lei invece si è spostato molto per trovare la tua strada…
Eh sì, 20 fa sono partito dall'Abruzzo per studiare a Perugia e poi mi sono trasferito a Milano. Devo dire che la mia strada professionale è molto legata a queste due esperienze. Perugia mi ha aiutato molto e devo ringraziare il mio professore di Comunicazione Visiva all'Università che mi ha invogliato a fare uno stage a Milano. Sono partito da Chieti dove non c'era né il fermento che cercavo né il lavoro. Però partire da lì mi è servito per avere qualcosa da dire. Quando hai una ventina di anni affrontare una realtà diversa ha un forte impatto.
L'idea di lavorare nel mondo dei media le è venuta a quell'età?
In realtà sin da bambino ho visto tantissimi cartoni, trasmissioni, film e crescendo ho continuato. Faccio video da quando avevo 9 anni, poi da adolescente ho realizzato qualche medio-metraggio. La passione insomma ce l'ho fin da piccolissimo. Ad ispirarmi sono stati anche i media stessi: siamo una generazione cresciuta più con i media che con i genitori!
Oggi qual è il nuovo orizzonte a livello di fruizione? Dopo il cinema, la tv e YouTube… ora ci sono le tv on-demand. Pensa che sia un bene quel che è successo negli ultimi 15-20 anni?
Da un certo punto di vista sembra un utilizzo molto più democratico, dall'altro la quantità di possibilità che abbiamo intorno sono troppe e rischiano di finire in un "nulla di visto". E' come se fossimo viziatissimi di contenuti, quindi questi perdono il loro valore. Io spesso passo ore davanti a Netflix, Sky, Infinity, Amazon Prime… solo per capire cosa c'è da vedere e magari alla fine non vedo nulla. E' un po' come lo zapping sfrenato. Credo che questa idea di essere tranquilli che tutto sia lì a disposizione tolga molta passione: "tanto me lo potrò vedere quando mi pare, quindi non me lo vedrò mai". Invece quell'unica messa in onda era un momento sacro, eri totalmente preso dal film. Questo è l'assunto alla base di The Generi: per un uomo che ha troppe comodità, alla fine perde importanza la vita stessa.
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