Luisa Spagnoli, quando l'arte e la moda anticipavano i selfie della Ferragni

Modello Luisa Spagnoli, sullo sfondo un quadro di Campigli, Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma
di Francesca Duranti
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 29 Luglio 2020, 12:42 - Ultimo aggiornamento: 17:15

PERUGIA L'influencer agli Uffizi, davanti all'enormità estetica della Venere di Botticelli per un servizio di Vogue, con un outfit prêt-à-porter, e non si è degnata neanche di indossare un abito di alta moda, perché lei è Chiara Ferragni, che “non puoi capire se di base non sai portare una Prada come se fosse la borsa del mercato”. Quindi, il grande museo palcoscenico per la moda? O la moda a servizio del museo post pandemico a caccia di follower e visitatori? Entrambe le cose? Il dibattito puzza di vecchio, infatti basterebbe semplicemente rinfrescarsi un po' la memoria su certi argomenti, prima di “tuonare”.

Chiara Ferragni agli Uffizi, Schmidt nel mirino: il ministero reintegra il Comitato
Effetto Ferragni agli Uffizi, boom di visitatori under 25. Schmidt: «Spiace per i tuttologi»
Fedez: «Mamhood a museo egizio ok, Ferragni agli uffizi è scandalo»
Chiara Ferragni fa il tour degli Uffizi: «È rimasta incantata dai dipinti di Botticelli»


Quello di Luisa Spagnoli junior, ad esempio, che è poi solo un piccolissimo frammento di questo annoso dibattito, e cioè di come una certa moda illuminata, fin dagli anni Cinquanta, amasse rapportasi non solo con l'arte, ma anche con i luoghi dell'arte. Lei che nei suoi salotti romani conobbe Palma Bucarelli. Già, la Bucarelli, in questi tempi di influencer al museo avremmo molto da imparare da lei, una vita fatta di inaugurazioni, mostre in galleria, balli, incontri culturali e mondani, intenso rapporto con i media, che descrivono pienamente la personalità di una donna contemporanea, in cui l’algida bellezza e un’innata eleganza si coniugavano con un’elevata capacità culturale e manageriale, che l’ha condotta a gestire la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dal 1941 al 1975, in un periodo storico in cui l’arte contemporanea acquistava credibilità attraverso la crescita della stessa istituzione. Le sue notevoli capacità culturali e manageriali, le hanno fatto intuire anche l’importanza di una serata di gala, o di un servizio fotografico di moda per un grande marchio, al fine di trovare consensi fra personalità di potere. Lei che nel 1959 fece acquistare dalla galleria Nazionale, con soldi pubblici, il "Grande Sacco" di Burri scatenando un'interrogazione parlamentare bipartisan da Comunisti e Democrazia Cristiana, oltre all'incursione dell'ufficio di igiene. Lei che per l'acquisto della "Merda d'artista" di Piero Manzoni finì in tribunale nel 1970.
 

 



Ma torniamo a Luisa Spagnoli junior, figlia di Mario, nipote dell'omonima fondatrice della Spagnoli. Luisa che trasferitasi a Roma alla fine degli anni Cinquanta, curò per il marchio di famiglia quello che è stato sempre considerato il loro fiore all'occhiello: i cataloghi, oggetti ancora oggi utilizzati dall'azienda. Dal 1951, le due collezioni annuali vennero infatti presentate rompendo tutti gli schemi, partendo dalle dive della “dolce vita” di via Veneto, ma soprattutto entrando dentro la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Non solo il museo come palcoscenico dello shooting fotografico, quindi, ma di fronte a opere d'arte contemporanea, proprio in quella Galleria tanto discussa e ammirata degli anni della direzione Bucarelli. Il classico pull di angora Spagnoli a confronto con i sacchi laceri di Burri, ad esempio, o i toni pastello dei filati preziosi davanti alle tele di Campigli, o i geometrismi di Capogrossi e i tagli sartoriali della Spagnoli. Secondo quanto raccontato dallo storico Valerio Corvisieri nel volumetto dedicato a Luisa, “l'idea di creare un cortocircuito moda arte le era da tempo venuto in mente”. Risalgono, infatti, al 1954 le prime fotografie di modelle in posa accanto ad opere d'arte. Poi, nel 1957 Luisa portò alcune modelle alla IIV Quadriennale d'arte moderna di Roma, un successo, e il dialogo continuò fino al 1969, passando per le Gallerie d'arte più esclusive di Roma dove conobbe Burri, Vedova, Capogrossi, Matta.
Mi spiace per la Ferragni, dunque, ma soprattutto per il direttore degli Uffizi, perché la storia ha conosciuto donne che in tempi non di “puzzalnasismo”, ma di vero maschilismo sovranista, hanno fatto epoca, hanno saputo usare fascino, potere e intelligenza per la crescita reale del Paese attraverso l'arte, i musei, e la moda.


 

© RIPRODUZIONE RISERVATA