Congo, il missionario: «Attanasio? Normale fosse senza scorta: voleva conoscere la realtà della gente»

Congo, il missionario: «Attanasio? Normale fosse senza scorta: voleva conoscere la realtà della gente»
di Lucilla Piccioni
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Venerdì 5 Marzo 2021, 12:28 - Ultimo aggiornamento: 13:25

Non si meraviglia del fatto che viaggiasse senza scorta l’ambasciatore italiano ucciso in Congo Luca Attanasio. 

Per Don Sergio Vandini il missionario che ha vissuto in Congo per ventitré anni, c’era da aspettarselo da Luca, come lo chiama amichevolmente. «Conoscendo la voglia che aveva Luca di andare a conoscere direttamente le realtà dei villaggi africani per capire sul campo necessità e bisogni – racconta il missionario – mi sembra normale vederlo salire sui mezzi del Pam, programma alimentare mondiale. Loro si muovono prima con delle gip per raggiungere i villaggi, una volta arrivati prendono nota dei componenti delle varie famiglie, parlano con le donne, le madri e poi al secondo giro portano i viveri necessari. Il cibo è trasportato con mezzi più grandi delle gip. Luca voleva conoscere veramente la realtà della gente, capire come vivono per poterli aiutare rispettando usanze e tradizioni, era uno che stava sul campo davvero non per modo di dire. Ecco perché non mi sembra assurdo il fatto che sia andato senza scorta in un luogo pericoloso, conosciuto come pericoloso. Era da lui».

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Il racconto

Racconta Don Sergio Vandini che, in altre occasioni, i viaggi dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio erano stati organizzati dall’Onu nei minimi particolari. «Mi ricordo di un viaggio studiato con tanto di spostamenti in elicottero per garantire la sua sicurezza». Come mai allora Attanasio è andato senza scorta e anche senza giubbotto antiproiettile? Un caso sfortunato? Una scelta personale? Don Sergio Vandini, dal mese di marzo dell’anno scorso è tornato dalla missione congolese di Ntenda ed è parroco nella parrocchia di San Matteo a Campitelli, ha conosciuto Luca Attanasio, che era già ambasciatore, anche se giovanissimo, era il 2017. «In quell’anno Attanasio ha voluto conoscere tutti gli italiani che vivevano in Congo, per questo ci è venuto ad incontrare a Kananga, in quell’occasione eravamo dieci missionari. Lui ha parlato con ognuno di noi, singolarmente, per conoscere i nostri problemi, le nostre esigenze, i problemi che ci trovavamo a dover affrontare. Dopo il nostro incontro gli ho inviato due progetti, ma non siamo riusciti a realizzarli, forse ce ne erano di più urgenti. Ma ci siamo scritti e siamo rimasti in contatto. Io lo ricordo come una persona piena di entusiasmo, quello che si dice un vero bravo ragazzo, quando ci siamo presentati mi ha detto di essere di Limbrate, io sono nato a Milano, anche se ci ho vissuto poco, e questo ha creato subito una sorta di complicità, avevamo posti da ricordare, paesaggi da condividere. E’ stato bello», racconta Don Sergio. Nella città di Ntenda Don Sergio è riuscito a costruire una casa, una chiesa ed una scuola superiore. «Quando sono partito per il Congo ero giovane e pieno di entusiasmo e anche forza fisica, è stata un’esperienza meravigliosa, che rifarei mille volte, ma ora sono troppo vecchio per l’Africa».

 

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