Inchiesta Tav, Lorenzetti:
«Ho fatto solo il mio dovere»

Inchiesta Tav, Lorenzetti: «Ho fatto solo il mio dovere»
di Italo Carmignani e Egle Priolo
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Martedì 24 Settembre 2013, 22:29 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 11:04
PERUGIA - Ho fatto solo il mio dovere: ho agito soltanto nel solo e unico interesse dell’Italferr.

Maria Rita Lorenzetti, già presidente della società di ingegneria delle Ferrovie dello Stato e governatrice dell’Umbria, ha respinto con questa determinazione le accuse che le contesta la procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta Tav. Procura che l’ha fatta arrestare insieme ad altre cinque persone e che in quasi duemila pagine la vuole a capo di una squadra che tra pressioni, attività illecite e defenestrazioni di funzionari sgraditi ha giocato per favorire il general contractor Nodavia e ha creato un sistema di potere fatto anche di spintarelle e incarichi sospetti. «La squadra? Un gruppo compatto, ma nessuna attività illecita», ha invece risposto per quasi cinque ore Lorenzetti al gip che oggi dovrà decidere sulla revoca degli arresti domiciliari, chiesta per il venir meno del pericolo di reiterazione del reato dopo la fine della sua presidenza all’Italferr. «Nessun reato e nessuna squadra per attività illegali: Lorenzetti ha spiegato questo termine - ha detto Ghirga - nel senso di un gruppo che si muoveva in maniera compatta nel solo interesse dell’Italferr. Non certo in senso associativo». «In particolare - ha aggiunto il legale - per disincagliare un progetto e trovare una non facile soluzione a problemi di assoluta rilevanza tecnico-scientifica e contrattuale. Come quelli relativi alle terre e rocce da scavo, all’autorizzazione paesaggistica e alle riserve». Ha sciolto così i nodi dell’inchiesta, dai presunti vantaggi per Nodavia al decreto sulle terre, fino alle telefonate ai vari ministeri che per la procura sono pressioni e per lei «solo interessamento» per le autorizzazioni necessarie a non fermare il cantiere.



Effetti collaterali

Colpevole del reato di vanità

Un istante prima di quella telefonata Maria Rita Lorenzetti non avrebbe mai immaginato come una chiamata potesse mettere in moto la più attenta delle procure italiane e accendere la curiosità del più abituale dei sospetti, la spintarella. Era il 3 settembre del 2012, Bistoni era ancora saldamente rettore e l’ex presidente della Regione, già in cima a Italferr, riceve una sollecitazione per far passare in anticipo l’esame di Odontoiatria a uno studente di cui conosce solo il padre. Roba da stupore? No, quasi da vizio.

Perché la colpa più grande di Maria Rita Lorenzetti, sia sotto l’effetto della presidenza della Regione come di quello del numero uno di Italferr, azienda impegnata nell’alta velocità fiorentina, è un sentimento neanche previsto dall’Inferno di Dante, la vanità. Senza neanche ottenere qualcosa, se non il rischio di annegare nello specchio. Quel tre settembre del 2012 alla supplica di un padre suo amico risponderà come ha fatto centinaia di volte, senza commettere reato se non contro la faccia tosta e gli sfortunati a lei sconosciuti. Perché al mittente della richiesta di aiutino dirà: «Non ti preoccupare». Mentre all’interlocutore universitario spiegherà: «Mi devi fare una grande favore, non puoi dirmi di no». L’unica variante è che con qualcuno sotto la sua ala, sempre all’università, il favore verrà chiesto sotto forma di ordine. Non discutibile.

Se per Odontoiatria sposta la cima del monte Ateneo, per un’ammissione a Biologia di una nipotina di un potentissimo bocciata in quel di Roma, muove uno scudiero. Talmente suddito da offrire il numero del portatile a una perfetta sconosciuta di cui aveva ricevuto la segnalazione. E quando un istante prima di quella chiamata era già pronta a rispondere come aveva sempre fatto, anche dall’altra parte del telefono c’era chi subiva il suo fascino spalmandolo sopra il vincolo dell’obbedienza. Quasi della fede. A leggere le carte dell’inchiesta si scopre quello che il mondo sapeva già benissimo da solo, ma piace sempre stupirsi quando le ipotesi, come la raccomandazione (penalmente innocua), diventano nero seppia su bianco verbale, e si saluta con un “oooh” di disapprovazione quello che magari si è fatto poco prima, al telefono o per strada. La Lorenzetti è sicuramente colpevole di non essere quasi mai riuscita a dire no, quanto lo sono quelli in fila davanti alle sue orecchie. Nelle milleottocentoepassa pagine della richiesta di misura cautelare, cioè di arresto, accanto alle accuse per quei rifiuti di scavo non smaltiti e quelle strutture dell’alta velocità meno affidabili dei parametri imposti dal protocollo, ci sono tante parole di un malcostume in cui divertirsi a incrociare i nomi come davanti a tè e pasticcini. Ogni volta potremmo essere sicuri di sentire quell’eco di una frase famosa, «Che te serve?», ma non l’origine del suo peccato.

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