Terni, effetto pandemia: persi quasi tremila posti di lavoro

Terni, effetto pandemia: persi quasi tremila posti di lavoro
di Sonia Montegiove
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Lunedì 12 Aprile 2021, 09:49 - Ultimo aggiornamento: 11:15

TERNI La crisi del lavoro. Temuta, annunciata e ora, con i primi dati Istat, anche quantificata. Con contorni drammatici. Eccoli. Dal 2019 al 2020, secondo gli ultimi dati Istat, la provincia di Terni ha perso quasi 3.000 posti di lavoro (2.825 per l’esattezza), presentando un trend negativo, legato anche alla pandemia da Covid-19, simile a quello nazionale e regionale dove sono quasi 6.500 i posti di lavoro in meno. Un quadro “nero” del lavoro che, come sottolineato nell’analisi di Elisabetta Todini di Agenzia Umbria Ricerche, potrebbe essere «parzialmente distorto sia in termini produttivi, perché le ore lavorate sono diminuite molto più degli occupati – visti l’ampio ricorso alla Cassa integrazione guadagni e le assenze dal lavoro per interruzioni varie – con una conseguente minore generazione di reddito, sia anche di equilibrio del mercato, considerato che il blocco dei licenziamenti ha falsato naturalmente la reale domanda di lavoro». 
Se si va a guardare i dati per genere, gli uomini fanno registrare una perdita maggiore rispetto alle donne (1.563 posti in meno nel 2020 rispetto al 2019 a fronte dei -1.262 delle lavoratrici), che lascia comunque inalterata la percentuale di donne occupate ferma al 44 per cento. Anche a livello regionale la componente maschile è più penalizzata (-1,9 per cento degli occupati uomini contro -1,7 per cento di donne), con un tasso di femminilizzazione dell’occupazione più basso che nel ternano (42 per cento). Seguendo il trend nazionale e regionale, Terni ha perso soprattutto lavoratori dipendenti, con un taglio di 4.000 persone rispetto al 2019 (sono 5 mila i lavoratori dipendenti in meno a livello regionale). Taglio che si è compensato in parte con un aumento dei lavoratori cosiddetti indipendenti (+1.300 circa), ovvero profili professionali con livelli di autonomia differente che vanno da imprenditori, con o senza lavoratori dipendenti, ad autonomi senza dipendenti come per esempio liberi professionisti, soci di cooperativa, coadiuvanti familiari, collaboratori. 
Analizzando il dato regionale per il quale Istat mette a disposizione maggiori elementi di dettaglio, nel 2020 sono stati 8.800 i dipendenti che hanno perso il lavoro perché con contratti a termine, svincolati dal blocco dei licenziamenti o semplicemente “non rinnovati a scadenza”. Se si vanno a spulciare i dati storici, si scopre che Terni in 10 anni, nel 2020 rispetto al 2010, ha perso quasi 4.000 occupati, che salgono a 7.000 se si guarda al 2008 (anno tra i migliori degli ultimi quindici).
Una lettura completa del quadro del lavoro non può non considerare i numeri sui disoccupati. Nel 2020 nel ternano sono diminuiti: dai 10.000 del 2019 si è passati, infatti, a 6.700, con una rappresentanza femminile importante, visto che sono più di 3.000 le disoccupate in meno rispetto agli 800 uomini. Un dato solo in apparenza positivo e che va letto insieme a quello degli inattivi, che vede infatti una crescita che arriva a superare per Terni le 5.000 persone. 
Questo primo quadro degli effetti della pandemia sul lavoro non può certo considerarsi esaustivo: oltre al cosa avverrà allo sblocco dei licenziamenti, infatti, si potrà avere una panoramica diversa con l’aggiornamento in corso da parte di Istat della serie storica della rilevazione degli occupati secondo nuovi criteri dettati dall’Ue. Per adesso si può dire che, come sottolineato dalla stessa Aur, per l’Umbria “a pagare le conseguenze sono stati i giovani, i contratti a termine e di apprendistato, i livelli di istruzione più bassi, le attività considerate non essenziali, con effetti asimmetrici assai rilevanti per caratteri ed entità”.

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