Laura Santi: «Vi racconto il calvario dell'assistenza per patologie complesse»

Laura Santi: «Vi racconto il calvario dell'assistenza per patologie complesse»
di Laura Santi
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Mercoledì 11 Maggio 2022, 13:30

PERUGIA Di come lo Stato affronta l’assistenza per una patologia complessa non ho mai parlato. Vuoi per disillusione, vuoi per buon senso, perché ne comprendo le difficoltà.

Il diritto a un’assistenza adeguata per una patologia complessa come una neurodegenerativa, in particolare se si è mentalmente attivi, non è garantito. Il pubblico, che per me disabile grave e con patologia complessa si incarna nella ASL locale tramite le cooperative che hanno il servizio in appalto, non è preparato, non conosce, non forma per la mia patologia. Di conseguenza non ha personale adeguato. E quel poco che ha, prima o poi se ne va per lavori migliori, condannando noi malati a un calvario di solitudine e discontinuità assistenziale; condannando i nostri caregiver a perdere tempo, lavoro, reddito, salute mentale nel sostituirsi a chi dovrebbe assisterci. E condannandoci, alla fine, a sentirci un peso per le famiglie e per noi stessi. Non importa essere attivi, lucidi, “collaboranti” come si dice in gergo. È paradossalmente meglio, ai fini di un reclutamento assistenziale, essere allettati.

Voi direte, ma non ti devono pulire, il servizio è più piacevole, sei lucida e fai cose, si chiacchiera con te e tuo marito, si condivide. Nulla di tutto ciò. Questo può servire con i servizi sociali in verifica, per farsi credere (!); serve alle cooperative perché di là hanno un utente con cui si può parlare. Ma alla persona, all’utente, queste risorse non aiutano. Si trova meglio assistenza per un allettato, che magari “non rompe le scatole” perché lo si pulisce, lo si gira e movimenta per le piaghe, gli si danno i farmaci, lo si controlla. Un disabile come un oggetto da gestire insomma, da controllare, da pulire e che finisca là. 

Non esistono, o sono rare - si perdono nel precariato, cercano altri ingaggi, si stancano di condizioni di lavoro non ottime - assistenti che siano sia giovani e robuste, sia formate per un’assistenza più dinamica (e quindi adatte a gestire disabili complessi). La mia vita è un avvicendarsi continuo e incessante di operatrici o poco preparate, o de-motivate, o vecchie e non idonee, o incapaci. Ogni tot mesi o anni ritorna la stessa litania: tizia o caia si è stancata di questo lavoro, ha trovato un altro posto, ed è un Risiko: mancano le sostitute. Sottolineo che nella formazione ASL per operatrici socio-sanitarie la sclerosi multipla - patologia dei giovani, non destinata quindi alle strutture - non è in alcun modo contemplata. 

Devo insegnargli io cos’è la spasticità, come alzarmi in piedi senza faticare, come consentirmi di organizzarmi per aiutarle, come gestirmi quando sto peggio.

Ho visto più di un’assistente in prova bagnarmi il viso col suo sudore, ansimare, tremare e quasi piangere, non perché chissà che mostro avessero davanti: ma semplicemente perché, loro già mature, hanno assistito sempre e solo anziani. E assistere un anziano e una giovane donna con sclerosi multipla è un altro pianeta, un’altra galassia! Vi sembrerà scontato? Non lo è né per alcune operatrici, né per le cooperative (fatti salvi i casi singoli come la mia referente, consapevole, in affanno nel cercarmi ogni volta le risorse), né tantomeno per i servizi sociali.

Discontinuità assistenziale, mancanza di operatori, formazione inadeguata o assente, solitudine assistenziale: di chi è la responsabilità? Di tutto il sistema. Dalle istituzioni sanitarie che non mettono risorse economiche adeguate e non formano, o non verificano la formazione; ai servizi sociali, che non ci conoscono e applicano protocolli ‘buoni per tutti e per nessuno’; alle cooperative, che avendo budget risicati si vedono andar via le migliori risorse; fino alle operatrici (alcune) che lavorano come in catena di montaggio, non si mettono in gioco, hanno ‘tirato su’ un generico corso OSS perché “pare che con quello si trovi lavoro”. Di questo sistema le vittime restiamo noi, gli utenti disabili».
Sono malata di una malattia neurodegenerativa grave e in progressione, sono attiva e non allettata, vorrei vivere decentemente. E ho il diritto, sacrosanto, a un’assistenza adeguata. Ho diritto di non essere trattata come un ‘caso complicato’. Ho diritto di non sfiancarmi ore a spiegare (invano) come funziona il mio corpo, ogni volta daccapo con una nuova, ogni volta con più fatica per la mia disabilità crescente. Ho diritto a non aver paura per la prossima brava che di sicuro, prima o poi, mi lascerà per un posto migliore. Ho il diritto di essere ascoltata - al di là dei protocolli! - come utente lucida e autodeterminata. Infine ho il diritto, fondamentale, a un minimo di continuità assistenziale. Chi si sente chiamato in causa da questa denuncia si renda consapevole che per tutti - in particolare per chi ha una patologia complessa - un’assistenza adeguata è, letteralmente, la sopravvivenza.
 

Laura Santi
Giornalista 
e attivista per i diritti civili

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