In settemila per i Massive Attack
in una pioggia di parole, bassi e led

I Massive Attack a Umbria Jazz
di Michele Bellucci e Fabio Nucci
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Martedì 17 Luglio 2018, 09:46 - Ultimo aggiornamento: 10:50

PERUGIA - In settemila sfidano la promessa di pioggia per fortuna mantenuta solo a metà. La serata statisticamente più a rischio di Umbria Jazz (quella del lunedì, spesso con brutto tempo) è stata solo in parte condizionata dal maltempo. Previsioni terribili alla mano il festival ha anticipato di un'ora la serata, iniziata poco dopo le otto con gli scozzesi Young Fathers sul palco per appena 45 minuti. Altrettanti quelli che gli appassionati del trip-hop hanno atteso per il cambio palco che i Massive Attack hanno calcato sotto nuvole sempre più pesanti. L'inizio del rituale vede sul palco il giamaicano Horace Andy che sulle note di Hymn of The Big Wheel porta subito indietro il tempo, al 1991 e al primo album della band, Blue Lines. Poi sul palco arrivano anche i due fondatori del progetto e un'ondata di suoni e byte, tra i bassi tipici della formazione inglese e un muro di led sul quale un fiume di parole, citazioni, storie e numeri si sono susseguiti per tutta l'esibizione. Scritte anche in italiano, così come in italiano si è espresso Robert "3D" Del Naja, nato a Bristol da genitori campani.

L'"attacco" è su Mezzanine, titletrack del disco più famoso della band e che ha fatto decollare il live cadenzato dall'inconfondibile tempo sincopato. Giusto il tempo di scaldare l'atmosfera, che arriva la pioggia e nonostante l'invito di Robert a godersi la serata, per un quarto d'ora almeno, le presenze sulla pista dell'Arena si sono dimezzate con gli spettatori in cerca di riparo. La maggior parte del pubblico è rimasto però sotto l'acqua, rapito dalle ritmiche ipnotiche e deciso a sfidare il freddo pur di restare "connesso" con la band. Così il temporale finisce per dare un'impronta ancor più marcata alla serata con i lampi che sembrano voler rubare la scena ai laser in uscita dal palco, i tuoni entrare in competizione col drum'n'bass. Un ambiente che alimenta l'adrenalina del pubblico, che si ritrova avvolto in un'atmosfera unica che resiste anche quando la pioggia si arrende. La scaletta scorre pescando dall'intero repertorio, con due brani che vedono salire nuovamente sul palco i tre Young Fathers: Voodoo in My BloodWay Up Here vengono interpretate con grinta e ispirazione, tanto da convincere subito del valore di questo giovane progetto anche i tanti che avevano perso il set d'apertura. Poi on-stage arriva anche Deborah Miller per regalare due versioni da brivido di Safe From HarmUnfinished Sympathy

Ci si avvia verso la fine, con i visual dietro al palco che continuano a segnare la via. La potenza dagli effetti visivi sul maxischermo è a tratti stordente: dalle domande esistenziali che sembrano giungere dalla "mente" di un computer, ai giochi di luce che creano geometrie futuristiche, passando da fotografie che arrivano dirette dalla guerra e sequenze di "0" e "1" che suggeriscono la presenza di mondi intellegibili. Effetti minimali e impattanti che portano il live a un livello metafisico, risultando una sorta di messaggio diretto al pubblico. I Massive Attack come una "sveglia mentale"; seguire lo show richiede attenzione e lucidità, con tutte le controindicazioni connesse. Perché pur tecnicamente impeccabile, il rischio di uno spettacolo come questo è che tra bombardamenti di led, frasi estrapolate da notizie vere, tra i paradossi e le contraddizioni dell'informazione veloce, possa sembrare troppo costruito. Anche quando sul palco Robert richiama gli Young Fathers definendoli "il miglior gruppo del mondo", anche dopo una sequenza di brani diventati simbolo della band e di un'intera cultura nata negli anni '90 (ci sono Angel e Eurochild, sebbene siano rimasti fuori - tra lo stupore del pubblico - due classici come Protection e Teardrop). Appena calato il sipario è impossibile non tornare con la mente a un anno fa, quando sullo stesso palco c'erano i Kraftwerk: anche il loro fu uno spettacolo molto visuale ma, a differenza dei Massive Attack, seppero trasportare il pubblico in una sorta di trance mistica fuori dal tempo, dal quale risultava impossibile sganciarsi. Invece la scelta di Del Naja e Marshall è stata quella di portare in scena l'attualità e spingere il loro pubblico a puntare il dito verso se stesso; il mondo non funziona, servono maggiore connessione e soprattutto altruismo. Una via per tornare a essere più umani è "qui e ora" davanti a voi, hanno suggerito dal palco i Massive Attack regalando a Umbria Jazz l'ennesima notte tinta di leggenda.

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