PERUGIA - Sul coltello nascosto sotto la cassa numero 11 del supermercato di Città della Pieve c'era il sangue di Alex Juhasz, il bimbo di due anni ucciso a coltellate dalla madre Katalin Erzsebet Bradacs il primo ottobre del 2021 a Po' Bandino. Un particolare emerso ieri durante l'udienza davanti alla Corte d'assise che dovrà decidere se la donna, 45enne di origini ungheresi, è colpevole di omicidio volontario aggravato e premeditato, come contestato dal sostituto procuratore Manuela Comodi.
Un particolare anticipato dai carabinieri che il pubblico ministero ha chiamato a testimoniare e che sarà confermato nella prossima udienza, fissata per il 13 febbraio, dagli esperti del Ris che hanno svolto gli accertamenti biologici sulle tracce riscontrate sulla lama, a cui manca solo un pezzo della punta mai ritrovato. Secondo quanto emerso in aula, le tracce di sangue non erano visibili, ma i successivi esami svolti dai Ris avrebbero rintracciato il dna del piccolo Alex.
Suo anche il sangue trovato sul maglione marrone lasciato nell'ex centrale Enel in cui, secondo la ricostruzione, è avvenuto l'omicidio: Bradacs lo avrebbe indossato mentre colpiva il figlio con sette coltellate, all'addome, al torace e al collo. Ma come testimoniato dai carabinieri – della Compagnia di Città della Pieve e della sezione scientifica di Perugia – quando la donna è uscita dal casolare abbandonato per cercare aiuto nel supermercato a pochi metri, adagiando il cadavere del figlio su una cassa, si è cambiata. Addosso, infatti, aveva solo una maglietta, su cui poi sono state riscontrate altre tracce ematiche da schizzo, che sembrano compatibili con il momento il cui ha impugnato e usato il coltello sul corpicino del bambino, di cui aveva perso l'affidamento in Ungheria e per cui era scappata in Italia, dove aveva lavorato per anni prima di restare incinta.
Sarà la Corte d'assise a stabilirlo, così come la sua capacità di stare a giudizio: la donna, infatti, come noto ha di fatto confessato e la sua difesa si gioca essenzialmente sulla sua capacità di intendere e di volere al momento del fatto – con l'avvocato Enrico Renzoni pronto a chiedere una terza perizia, dopo le due (contrastanti) effettuate in fase di incidente probatorio -, per cui il nodo della sua imputabilità è ancora da dipanare.
E ieri sono stati ascoltati anche i carabinieri che hanno svolto accertamenti tecnici sui tre telefoni cellulari sequestrati alla donna: due – come sottolineato da Massimiliano Scaringella, legale di Norbert Juhasz – erano inutilizzabili, del terzo è stata fatta una copia forense, ma i dati sono risultati crittografati. E le accuse battono proprio sui cellulari distrutti: uno integro all'esterno ma con cavi e chip spaccati all'interno, come se ci si fosse accaniti con un punteruolo, e l'altro immerso nell'acqua, forse di un bagno o magari di una pozzanghera.
Ricostruzioni che Bradacs ieri ha ascoltato in silenzio, più preoccupata per la restituzione degli oggetti inventariati e non sequestrati (indumenti, una catenina, addirittura una lametta) che non per le accuse che le venivano rivolte e che sostanziano il quadro accusatorio prospettato dal pm Comodi. Ulteriori verità arriveranno nella prossima udienza, in cui è possibile vengano ascoltati anche i testimoni presenti all'interno del supermercato. Che hanno davanti agli occhi quel corpicino martoriato da oltre due anni.
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