Il Comune di Perugia chiede 3 milioni di danni alla 'ndrangreta

Palazzo dei Priori
di Egle Priolo
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Sabato 4 Luglio 2020, 11:02
PERUGIA - Quanti motivi ci sono per chiedere danni d’immagine alla criminalità organizzata? Tanti, a prescindere. In questo caso sono almeno tre milioni. Esattamente la cifra che il Comune di Perugia ha intenzione di chiedere a chi è considerato parte integrante della ‘ndrina crotonese di San Leonardo di Cutro, una «ramificazione» della casa madre in città, e a chi con questi personaggi, sempre secondo le indagini, ha fatto affari sporchi. Cocaina, armi, estorsioni, truffe bancarie e minacce: questo, il “portfolio” criminale secondo la Dda di Catanzaro e la squadra mobile di Perugia, dei 23 perugini e calabresi da tanto tempo residenti in città per cui ieri si è aperto il maxi processo nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia con l’udienza davanti al giudice per l’udienza preliminare.

Ventitrè che diventano novantacinque indagati complessivi dal momento che, all’atto della conclusione delle indagini, i magistrati coordinati da Nicola Gratteri hanno deciso di unire l’indagine perugina (che prima di Natale aveva fatto esplodere la bomba ‘ndrangheta in città) e quella di qualche mese prima in cui era emersa la «locale di ‘ndrangheta» di San Leonardo di Cutro.
Il Comune dunque, rappresentato dall’avvocato Massimo Brazzi, ha avanzato al gup la richiesta di essere ammesso come parte civile al processo e quantificato subito in tre milioni di euro i danni d’immagine alla città provocati da quella che investigatori e giudice per le indagini preliminari di Catanzaro considerano di fatto una ‘ndrina perugina, in stretto contatto con la locale crotonese. Lunedì è attesa la decisione.

INCOMPETENZA TERRITORIALE
Giornata infinita, nell’aula bunker di Rebibbia scelta perché un processo di queste dimensioni tra indagati, avvocati, giudici e cancellieri in Calabria non si sarebbe potuto tenere per via delle disposizioni anti covid-19. Iniziata ieri mattina presto e conclusa solo a tarda serata. Da quello che si apprende, i legali dei perugini che rischiano di essere rinviati a giudizio (tra gli altri, gli avvocati Antonio Cozza, Michele Nannarone, Saschia Soli, Donatella Panzarola, Francesco Falcinelli, Cosimo Caforio, Alessandro Ricci, Daniela Paccoi e Rita Urbani) avrebbero avanzato al gup la richiesta di incompetenza territoriale visto che i reati contestati ai loro assistiti si sarebbero consumati a Perugia e non in Calabria. Anche su questo punto, che potrebbe essere una strategia per provare a far cadere l’accusa più grossa per alcuni e cioè quella di associazione mafiosa, il giudice deciderà nelle prossime ore.

LE ACCUSE
I 23 perugini che rischiano il processo sono accusati a vario titolo di di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e occultamento di armi clandestine, estorsione, minacce, violenza privata e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziaria che avevano come obiettivo frodi ai danni del sistema bancario.
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