Giovani morti a Terni, le chat sui telefonini: «O frà, Je damo stasera?»
La sociologa: «Pericolosi i siti che inneggiano alle droghe»

Giovani morti a Terni, le chat sui telefonini: «O frà, Je damo stasera?» La sociologa: «Pericolosi i siti che inneggiano alle droghe»
di Aurora Provantini
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Giovedì 9 Luglio 2020, 13:33 - Ultimo aggiornamento: 16:47

TERNI «Famo», «Provamo», «Annamo»,  «O Frà, je damo stasera?», « E daje!».
Sono queste le espressioni più frequenti contenute nei messaggi whatsapp del gruppo di amici dei due adolescenti che nella notte tra lunedì 9 e martedì 7 luglio scivolano dal sonno alla morte, dopo un pomeriggio passato insieme e dopo aver bevuto un mix di soatenze che diventa veleno.   
«Segno che la seduzione di certi siti che inneggiano alle droghe ha il suo effetto, e che il controllo di certi strumenti  non è stato esercitato» - sostiene Maria Caterina Federici, docente di Sociologia all'Università di Perugia,  «A livello di comunità più ampia - afferma sempre il docente di Sociologia  - è necessario ritrovare la capacità di progettare un futuro per la città, e per coloro che la abitano e la vivono, con spazi dedicati, iniziative culturali e artistiche, che favoriscano la capacità di espressione e di sviluppo dei giovani e delle altre generazioni: è fondamentale».
«Purtroppo non conosciamo i ragazzi che abbiamo in casa», sostiene Federici. 
«Questa vicenda tristissima e dolorosa che colpisce un’intera comunità, due famiglie, due istituti scolastici, un gruppo di amici, rimanda messaggi altrettanto tristi e dolorosi. Da un lato, a livello macro sociale, si evidenzia drammaticamente la crisi di modello di sviluppo futuro di una città e di una comunità che hanno perso gli ancoraggi e i “credo” di un progresso inarrestabile legato alla presenza della Fabbrica».
Non ci sono più certezze e valori forti. «A livello micro è evidente in tutti i contesti, compreso quello ternano, che talvolta le famiglie stesse non conoscono i propri figli. Forti censure percettive fanno immaginare splendidi ragazzi dietro occhi persi nel vuoto».
Questa vicenda mette in luce anche la difficoltà di applicare un modello educativo che dia gli argini all’energia vitale dei ragazzi, senza deprimerla e senza stravolgerla. «Dire no - spiega Maria Caterina Federici - è difficile, ma è l’unico metodo educativo che crea argini all’energia vitale. Già un grande sociologo tedesco dei primi del Novecento, Georg Simmel, scrisse che i ragazzi sono pura energia vitale, come un fiume in piena la cui potenza va contenuta con l’educazione. La società contemporanea apre degli scenari inediti, legati alle grandi possibilità che forniscono le nuove tecnologie. I siti, ad esempio, che descrivono ed inneggiamo all’esperienza del consumo delle sostanze stupefacenti, sono siti non controllati che seducono per i colori psichedelici e la grande forza creativa che promanano, sottacendo il danno neuronale che queste sostanze procurano al cervello. In questo modo attirano l’attenzione dei giovani, il cui commento è: perché non provare?».
Tutto questo deve far riflettere scuola, famiglia, comunità, gruppo dei pari, sul senso del “vivere un’esperienza”, condividerla, e mettersi alla prova, che se da un lato significa vivere, dall’altro comporta dosi di rischio che vanno ben calcolate. «Qui il ruolo della scuola e della famiglia è fondamentale, un ruolo di guida, di controllo, una parola che dobbiamo tornare ad usare, di ascolto, e di attenzione» – insiste la sociologa, direttrice del Crisu (Centro ricerca in sicurezza umana).
 

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