I Futuristi umbri
alla Fondazione Prada di Milano

I Futuristi umbri alla Fondazione Prada di Milano
di Francesca Duranti
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Lunedì 19 Febbraio 2018, 19:48
Quello che ha immaginato Germano Celant nel “disegnare” la mostra “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943” alla Fondazione Prada di Milano (aperta fino al 25 giugno 2018) è una sorta di ricostruzione antropologica della produzione artistica dell’Italia tra il 1918 e il 1943.  Attraverso un allestimento che allo stesso tempo  appare monumentale ed evocativo, è stato  messo da parte il concetto  puramente creativo  di mostra emozionale, rendendo spettacolare la fedele ricostruzione  delle più importanti esposizioni  di quegli anni, partendo da rarissime immagini documentarie dell'epoca.

Idea ambiziosa, quanto folle,  che solo un curatore d'avanguardia come Celant poteva averne chiara l'architettura.  Come lui stesso scrive: “è il documento che ha comandato l’ordinamento delle opere in mostra”. Quadri e sculture emergono dallo sfondo di ingrandimenti volutamente sgranati di fotografie storiche come fossero sinopie, dove spesso solo poche opere hanno potuto ritrovare la loro originaria collocazione, e si è notato che cento anni ormai passati hanno lasciato il segno di troppe opere disperse. In questo contesto di filologica ricostruzione, il gruppo futurista umbro è stato protagonista, come la storia racconta, e come l'esposizione milanese ci ha restituito. Già dalla terza sala, delle 24, Gerardo Dottori si presenta nell'allestimento a grandezza naturale della ricostruzione della III Biennale di Roma del 1925, dove nella fotografia d'archivio, Marinetti, Benedetta, Tato e Prampolini, si trovano seduti al centro della sala espositiva immersi tra le opere disposte a quadreria di Giacomo Balla e Dottori. Delle cinque opere presenti nella foto, solo due sono state rintracciate, “Gialli Violetti” del 1923, esposta nella fedele ricostruzione, e “Armonie di forme e colori” del 1925, purtroppo non concessa per l'esposizione da un privato collezionista, il resto delle tele chiaramente visibili, sono purtroppo da decenni disperse.

Scandite per anni le sale hanno restituito poi l'esposizione “XCIV di Belle Arti, di Palazzo delle Esposizioni, del 1928, dove era esposta “Flora” del 1925, opera concessa in prestito dal Museo Civico di Palazzo della Penna, insieme a “Incendio città” del 1926, presente nella sala della Biennale di Venezia dello stesso anno. La presenza dottoriana si conclude con una fotodinamica dei fratelli Bragaglia che lo ritrae nel 1920. Altro grande esponente umbro Alessandro Bruschetti è presente con una magnifica aeropittura del 1934 concessa in prestito dalla Camera di Commercio di Perugia, esposta alla Biennale di Venezia dello stesso anno, e infine una delle rarissime donne del movimento futurista, la Folignate Leandra Angelucci Cominazzini, in mostra con un'opera aeropittorica esposta alla Biennale Veneziana del 1934. All'interno del monumentale catalogo, è impressionante accorgersi quanto Dottori sia stato interprete del Movimento Futurista già dal 1912, lo testimoniano i documenti delle più importanti esposizioni italiane ed estere.

L'esposizione è un viaggio dove si può ripercorre la dialettica tra singoli autori ed esponenti di movimenti, gruppi e tendenze, come Futurismo, Valori Plastici, Novecento, Scuola romana, i cosiddetti Italiens de Paris, il gruppo degli astrattisti, che animarono un panorama artistico e culturale, caratterizzato da eclettismo e pluralismo in cui hanno convissuto avanguardia e ritorno all’ordine, sperimentazione e realismo, intimismo e propaganda.
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