Federmanger Terni: «I dazi all'Indonesia
sono un tampone: Ast dovrà affrontare
la guerra dei prezzi con Cina e Asia»

Federmanger Terni: «I dazi all'Indonesia sono un tampone: Ast dovrà affrontare la guerra dei prezzi con Cina e Asia»
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Giovedì 11 Aprile 2019, 19:44
TERNI In questi ultimi giorni i prodotti cino-indonesiani hanno conquistato gli onori della cronaca. Quando un paese esportatore fa registrare, in una manciata di mesi, incrementi del 18% nelle vendite verso l'Europa dei laminati a caldo inox e dell’11% in quelli laminati a freddo è segno che un equilibrio si è rotto. Con una doppia conseguenza sugli operatori comunitari rappresentata dalla sottrazione di una rilevante fetta del consumo interno e da un calo rilevante dei prezzi di vendita ( meno 30%) che impatta in modo catastrofico sulla  marginalità e , in conseguenza, sulla redditività. A questo si aggiunga che, essendo l’Italia il paese a maggior assorbimento delle importazioni verso la Comunità Europea e l’Ast una realtà produttiva a quasi esclusiva distribuzione europea, la penalizzazione sul sito ternano rischia di essere devastante.
La richiesta di dazi all’import non può che essere la soluzione tampone per l’immediatezza degli effetti anche perché, questa crescita anomala è figlia  di un processo di arbitrato truffaldino  messo in atto da esportatori cinesi che vedendosi flussi di vendita impediti  dalle procedure daziarie stanno utilizzando la base produttiva indonesiana per aggirare l’ostacolo. Ma il dazio risolverà la criticità ? Qualche dubbio è legittimo perché quello che  sta accadendo è figlio di una rivoluzione della catena del processo produttivo che non può essere fermato dalla procedura daziaria.
L'analisi 1. La struttura dei costi di produzione dell’acciaio inox che vede i fattori utilizzati pesare per: 65% materie prime; 15% energie; 10-12% costo del lavoro; 8-10% tutto il resto;
2. Gli attori della catena del processo produttivo.
Da una parte le aziende che producono e distribuiscono le materie prime, dall’altro le acciaierie che le utilizzano per  ottenere il prodotto inox. Valeo, BHP Billiton, Norinickel, Ambatovy, Glencore, Sherrit questi i maggiori produttori di nickel in briquette che monopolizzano il mercato degli acquisti. Se consideriamo che l’inox consuma circa il 70% del nickel primario è evidente la rilevanza di questi attori tutti estranei, alle imprese che lo consumano. La gran parte dei produttori di Inox non esercitano alcun controllo diretto sui cicli a monte.
A sconvolgere questo mondo arriva la Cina grande utilizzatore del nickel soprattutto nella forma del Nickel Pig Iron ( di seguito NPI). Alcuni dati: Tsinshan è un gruppo cinese che già in patria produce circa 4 milioni di tonnellate di inox consumando circa 300 mila tons di nichel. Inizia nel 2015 un processo di investimento in Indonesia nel distretto di Morowali sull’isola di Sulawesi con un obiettivo di costruire una fabbrica di inox con una partenza da un milione di tonnellate. Negli anni successivi incrementa la produzione e nel 2019-2020 arriverà a 3 milioni di tonnellate. Si tratta di uno stabilimento proprietario ed integrato con una miniera di Ni e Cr in grado di fornire circa 180 mila tonnellate di nickel anno. Ma a Morowali Tingshan non è sola; Jangsu Delong ( altra azienda cinese ) fa partire un investimento per un complesso industriale da 3 milioni di tonnellate alimentato dalla miniera indonesiana della Virtue Dragon. PT Dexin Steel Indonesia una JV tra fondi di investimenti cinesi e la Delong Holding progetta un’altra fabbrica da 3,5 milioni di tonnellate per un investimento di 950 milioni di dollari. Altre due aziende indonesiane comunque legate ai cinesi incrementeranno la capacità produttiva di circa 3 milioni di tonnellate di coils e di un milione di tonnellate di bramme. In buona sostanza l’Indonesia si accinge a diventare un produttore mondiale di circa 10 milioni di tonnellate di acciaio inox, cioè un quinto della produzione mondiale dell’inox.

Il controllo delle miniere Il dato più rilevante è rappresentato dal fatto che tutte queste acciaierie controllano le miniere e sono, quindi, in grado di unificare in un unico soggetto decisore sia “up-stream” che il “down-stream” del ciclo di produzione del business. Apprendiamo quindi che la prima regione a impattare in questa rivoluzione sia stata la Cina stessa ( l’import dall’Indonesia che nel 2015 era pari a zero ha raggiunto nel 2018 i due milioni di tonnellate ) e poi tutta l’area dell’Asea. Non sorprende che i grandi produttori cinesi ( prima di tutte la Baosteel ) abbiano chiesto ed ottenuto l’applicazione dei dazi dell’importazione dall’ Indonesia. Ma al di là dei volumi di produzione in crescita che ampliano la criticità della sovra capacità produttiva in un settore che pure cresce con tassi incrementali del 5-6% annui ciò che cambia, radicalmente, le regole del gioco è questa integrazione tra estrattori della materia prima e produttori del bene finito. La Cina ( e l’Indonesia ), grazie al controllo delle miniere, sta trasformando la formula di determinazione dei prezzi di acquisto della materia prima e con essa l’articolazione temporale della domanda e dei fabbisogni. Secondo fonti informate i produttori cinesi, non contenti di  abbattere il prezzo base ( da 1050 euro a tonnellata ai 750 attuali ) stanno prefigurando contratti che supereranno il dualismo prezzo base ed extra di lega proponendo prezzi bloccati per un lungo periodo temporale ( un anno ).

Gli accordi Secondo  una fonte Cru i cinesi della Tingshan avrebbero chiuso accordi con la  Allegheny Tecnologies il più importante produttore americano di inox per l’esportazione di bramme indonesiane in America ad un prezzo unico bloccato per un anno. Considerato che il prezzo di esportazione delle bramme sarebbe molto vicino ai 1.400$ alla tonnellata mentre il prodotto finito in America si posiziona sui 3.000$ è evidente la logica devastante che avrebbe sul mercato del settore.

L'utilizzo del Nickel A questo va aggiunto un ulteriore elemento di criticità. Il Nickel è già oggi componente dei catodi per le batterie agli ioni di litio. Il mercato delle auto elettriche che oggi assorbe  tra il 3 ed il 4% del consumo del nickel secondo il centro studi Roskill raggiungerà, nell’arco dei prossimi 5 anni, un valore vicino al 20%. Questo a fronte di uno stock dell’Lme ( il magazzino fisico del nickel ) che nel Giugno del 2015 ammontava a 470 mila tonnellate e che ad Ottobre del 2018 aveva raggiunto le 220 mila tons. Così, mentre la maggior parte dell’output di crescita del nickel non dipende dal nickel in catodi ma dall’Npi ( si stima che nel 2020 Cina ed Indonesia produrranno 700 mila tonnellate di Npi) saldamente in mano ai Cinesi, il mercato dell’inox europeo ed americano dovrà fronteggiare una guerra dei prezzi che si prevede lunga e difficile. Cosa fare è  una domanda consequenziale ma alla quale la capacità di dare risposte rischia di essere né immediata né scontata.
Federmanager Terni
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