La consulenza balistica sull'omicidio del Subasio. «Era buio. Fabbri non poteva vedere
Piampiano quando ha sparato»

«Era buio. Fabbri non poteva vedere Piampiano quando ha sparato»

Il colpo mortale che ha ucciso Davide Piampiano è partito da «trenta metri» di distanza in «condizioni di luce insufficienti» e con un «dislivello ascendente di quattro metri» che ha reso «ancor più difficile la visualizzazione della figura». Dopo il sopralluogo del 16 febbraio al Fosso delle Carceri l’esperto balistico Marco Benecchi, consulente nominato dall’avvocato Luca Maori che difende il muratore di Assisi accusato di omicidio colposo, rassegna le proprie conclusioni. Secondo il perito meccanico «la visibilità era ridotta dal fusto di un albero presente longitudinalmente a circa 10 metri di distanza da lui». «Fermo che in tali condizioni la cautela avrebbe imposto di astenersi dallo sparare - scrive Benecchi - deve necessariamente essere sottolineato che sulla base dei dati circostanziali riferiti da Fabbri, in particolare in ordine al posizionamento di Piampiano ‘sui cani’ da quest'ultimo comunicatogli e dell'abbaiare dei cani udìto da Fabbri a circa 200 metri di distanza nel bosco in direzione NNW, la presenza di Piampiano 1-2 minuti dopo a 30 metri di distanza in direzione ENE poteva risultare per lui inverosimile».

Fabbri ha «riferito la dinamica dell'evento e in particolare che quando si stava approssimando al punto ove è avvenuto il fatto su indicazione del povero Davide, il quale gli aveva altresì comunicato di ‘stare sui cani’, aveva sentito abbaiare i cani sulla parte alta del bosco prospiciente a distanza di circa 200 metri in direzione NNW».

Secondo Benecchi «nessun dubbio può sussistere sulla circostanza che la luce dello smartphone di Piampiano non potesse essere percepita da Fabbri» (recentemente destinatario di una lettera minatoria per la quale viene sporta denuncia) che «proprio sulla scorta delle indicazioni fornite durante l’interrogatorio» ha permesso di «rinvenire il bossolo». E riguardo la compatibilità delle ferite mortali con la pallottola calibro 12 risponde che «le dimensioni ridotte della ferita di entrata e soprattutto di uscita paiono scarsamente compatibili con quelli che si attendono a seguito dell'ingresso e soprattutto della successiva fuoriuscita con traiettoria diretta di una carica a palla esplosa da fucile a canna liscia calibro 12 e, viceversa, più compatibili con ingresso ed uscita di un solo frammento della stessa. Per quanto concerne le cariche a palla delle armi a canna liscia, a differenza delle munizioni di quelle a canna rigata, quelle della frammentazione e della deviazione della traiettoria sono infatti eventualità tutt'altro che infrequenti in ambienti caratterizzati dalla presenza di rami e pietre, quali era ed è quello teatro del tragico evento».