Disabili picchiati e maltrattati in comunità ad Assisi: condanne per 46 anni

Disabili picchiati e maltrattati in comunità ad Assisi: condanne per 46 anni
di Egle Priolo
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Martedì 11 Ottobre 2022, 07:06

PERUGIA - Quasi 46 anni di carcere totali per gli undici imputati accusati dei maltrattamenti e delle botte ai pazienti, anche disabili e con problemi psichici, dell'Alveare, la comunità di Torchiagina. Questa la pesante sentenza firmata ieri dal giudice Francesco Loschi che ha condannato tutte le persone coinvolte nell'inchiesta, a fronte di una richiesta della procura che in totale chiedeva condanne per 30 anni, anche con tre assoluzioni per insufficienza di prove.
Per quelle braccia torte dietro la schiena, per gli scappellotti e i cazzotti. E ancora, per i pazienti tirati per i capelli o le orecchie, buttati per terra e magari anche chiusi in bagno per 20 minuti, con episodi non solo raccontati ma soprattutto ripresi dalle telecamere dei carabinieri del Nas, all'epoca diretti (i fatti contestati sono del 2014-2016) dal tenente colonnello Marco Vetrulli, ecco le condanne stabilite dal giudice Loschi: sei anni per Fulvio Fraternale (gestore dell'associazione di volontariato), sei anni e mezzo per Maria Grazia Chiarello, sette anni e mezzo per Bogdan Gancean Radu, 2 anni e 2 mesi per Rosa Piscitelli, 3 anni e nove mesi per Matteo Servello, 2 anni e 9 mesi per Antonio Vasta, Eleonora Bacchi, Vito Mauro e Luisa Moschiano, 3 anni per Irene Fraternale Macrì e 5 anni e mezzo per Alessio Belardi.

Le accuse nei loro confronti, a vario titolo, andavano dalle percosse ai maltrattamenti fino alla contestazione per alcuni al sequestro di persona, per quei pazienti picchiati e mortificati da chi li avrebbe dovuti curare, tra sanitari, responsabili e operatori.

La procura - in aula c'era il pm Filomena D'Amora - contestava gli atteggiamenti di «aggressione fisica e psicologica, con costante ricorso alla violenza fisica e ad atti di afflizione psicologica, come punizione per fatti di disobbedienza o di mancato rispetto delle regole interne». E tutti gli imputati, negli anni, difesi tra gli altri dagli avvocati Luca Gentili e Alessandro Bacchi, hanno sempre rinviato con forza al mittente le contestazioni, negando l’uso della violenza nella gestione (difficile, anche per mancanza di personale) dei pazienti. Ma il giudice monocratico evidentemente ha considerato diversamente i video e le intercettazioni, oltre alle testimonianze degli stessi investigatori che hanno raccontato i circa 200 episodi di violenza che hanno dato corpo alle indagini. Compresi quelli più clamorosi, come il sequestro di un iPod per sentire la musica al paziente che viveva delle sue canzoni nelle orecchie o la minaccia di non andare dal parrucchiere alla giovane fissata con il suo aspetto fisico. Punizioni, è stato spiegato, e mortificazioni con cui – secondo le accuse – venivano gestiti i pazienti, mentre gli avvocati delle difese hanno provato a sottolineare però anche le dimostrazioni di affetto presenti nei video, anche davanti alle lacrime della mamma di un paziente fragile, uno dei familiari costituiti come parte civile insieme anche ad Asl e Regione.

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