Davide ucciso da una fucilata sul Subasio, la lettera dei genitori: «Da Fabbri bugie e pressioni»

"Non ha chiamato i soccorsi e ha deciso che per nostro figlio non c'era più nulla da fare. Con noi un comportamento inquisitorio"

Davide Pampiano, la vittima , e un sopralluogo dei carabinieri
di Michele Milletti
3 Minuti di Lettura
Domenica 12 Febbraio 2023, 08:56
«Avevamo deciso di restare in silenzio. Ma le continue dichiarazioni del difensore di Piero Fabbri ci impongono di fare chiarezza su alcuni aspetti della vicenda, almeno sotto il profilo della coscienza umana». Inizia così la lettera dei genitori di Davide Piampiano, il ragazzo morto a 24 anni l’undici gennaio dopo essere stato colpito da un colpo di fucile sparato inavvertitamente (secondo quanto ricostruito dalle indagini) dall’amico Piero Fabbri durante una battuta di caccia al cinghiale al parco del Subasio.
I genitori di Davide, assistiti dall’avvocato Franco Matarangolo, ripercorrono il dramma di quel pomeriggio. «Davide era alto 1,84 e aveva un giaccone ad alta visibilità - scrivono - e non era certamente ancora buio. È stato gravemente ferito ma Fabbri non ha chiamato i soccorsi, anche per guidarli, essendo un profondo conoscitore della zona abitandoci. Ancora non sappiamo se per Davide non ci fosse nulla da fare, ma Piero Fabbri che competenza aveva per stabilirlo a priori? Sapeva con cognizione di causa quale organo era stato colpito e che ogni tentativo sarebbe risultato inutile? Se vi fosse stata anche solo una possibilità su un milione che Davide si salvasse, lui doveva fare tutto ciò che era “umanamente” possibile fare e, anzi, tentare l’impossibile. Non solo non ha chiamato i soccorsi ma, di fronte a Davide ancora cosciente e che implorava il suo aiuto, con un cinismo senza pari, ha iniziato a raccontare al telefono che Davide, ripetiamo ancora cosciente e vicino a lui, si era sparato da solo, ha scaricato il suo fucile e ha iniziato a manomettere la scena del delitto». 
Bugie e depistaggi scoperti grazie alla GoPro che Davide indossava nel cappello. Ma la rabbia dei genitori è anche per i giorni dopo. «Altrettanto biasimevole il comportamento dei giorni successivi. Dice di non aver detto la verità perché non aveva il coraggio di dire ai genitori che aveva ucciso Davide, ma ha avuto il coraggio, questo sì, di raccontare loro un sacco di bugie, tante storielle ridicole. Tutti i giorni ha fatto visita a casa nostra insieme alla moglie. La mattina successiva ha avuto il coraggio di lamentarsi con la famiglia di Davide, perché, a causa del colpo che Davide si era sparato da solo, “ora era venuto fuori un gran casino” e lui, del tutto innocente e unico soccorritore, si trovava ad essere “il primo indagato”. Due giorni dopo la morte, il 13 gennaio, si è svolta l’autopsia, fissata per le ore 18,00. Alle ore 20,49, con l’autopsia ancora in corso, è arrivato un messaggio sul cellulare del tenore… “saputo qualcosa?” Un comportamento inquisitorio, continuato per giorni e giorni, volto solo a scoprire con estrema freddezza e lucidità, del tutto incurante del dolore dei familiari, eventuali sospetti e stato delle indagini».
E poi la stoccata finale: «Non cerchiamo vendetta ma solo giustizia, toccherà ai giudici dare valutazioni sul suo comportamento. Fabbri avrebbe almeno potuto tendergli la mano, rassicurarlo, assisterlo…ha preferito fare o non fare ciò che ha fatto, pensando esclusivamente a sé stesso, avendo il coraggio di farlo morire nella menzogna “Davide si è sparato una botta”».
© RIPRODUZIONE RISERVATA