La Banca d'Italia: «Umbria in ritardo, ma vaccinazione e Pnrr possono ridare slancio». La crisi ha radici lontane

La Banca d'Italia: «Umbria in ritardo, ma vaccinazione e Pnrr possono ridare slancio». La crisi ha radici lontane
di Fabio Nucci
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Sabato 26 Giugno 2021, 11:30

PERUGIA  -Preoccupano le prospettive di scarso respiro, ma ancora di più il peso di ritardi e difficoltà che l’Umbria si trascina dietro da prima dello scoppio della pandemia. Così, del Rapporto annuale Bankitalia, più che il previsto -9% di Pil e il -11,1% subito dai consumi domestici, fanno riflettere i dati sul gap tecnologico, con l’Umbria in ritardo dalla connettività agli investimenti, e la fotografia demografico-sociale che descrive una regione più anziana e meno appetibile per giovani e imprese.
Le armi per contrastare la deriva ci sono e le ricorda la responsabile Miriam Sartini. «Il successo della campagna vaccinale, il mantenimento delle politiche espansive e l’efficace avvio del Piano nazionale di ripresa e resilienza che richiede uno sforzo congiunto da parte di tutti i soggetti coinvolti». Un richiamo a fare squadra, ben sapendo che le difficoltà attuali in parte sono attenuate dalle misure di sostegno (vedi blocco licenziamenti e ammortizzatori sociali) e che in futuro potrebbero presentarsene altre legate alla qualità del credito e alla tenuta dell’indebitamento da parte di imprese e famiglie. «Gli operatori economici prefigurano una parziale ripresa per il 2021 – aggiunge Sartini – o un recupero delle attività, ma in generale le prospettive di crescita sono fortemente dipendenti dal successo della campagna vaccinale per sconfiggere virus e pandemia». Anche l’export si è arreso all’emergenza sanitaria registrando un calo del 12,8%, più elevato rispetto al resto del Paese e alle regioni del centro. Fatturato in calo nel settore dei servizi, in particolare per commercio al dettaglio non alimentare, ristorazione e turismo, i cui i flussi lo scorso anno si sono dimezzati. Ma è dall’industria che arrivano i segnali più controversi con gli investimenti che, già deboli prima dell’emergenza sanitaria, si sono ulteriormente ridotti del 18,7%. «I settori hanno sofferto un po’ tutti – spiega Paolo Guaitini, Nucleo ricerca economica – anche l’agricoltura, che ha perso il 9,6% in valore aggiunto, e l’industria (-11,8%), con una caduta più marcata per piccole imprese, meccanica, abbigliamento e metalli». Ciò che pesa sulle prospettive è anche il “vissuto” dell’economia regionale. «In Umbria è diverso perché diverso è il periodo precedente all’emergenza sanitaria col Pil 2020 che riporta ai livelli registrati alla vigilia degli anni ’90: questo dà l’idea del ritardo economico della regione». I motivi sono vari e portano a scarsa produttività e internazionalizzazione, livelli bassi di ricerca & sviluppo. Da qui ha preso piede il focus sulla digitalizzazione incluso nel report 2021 che colloca l’Umbria in una posizione mediana verso le altre regioni ma con forti ritardi. «Le principali carenze – aggiunge Guaitini – vanno ricercate negli investimenti tecnologici delle imprese, nella copertura e diffusione delle reti e nelle competenze digitali». Aspetti confermati durante la pandemia con una minor incidenza di smart working e internet banking mentre nella didattica a distanza solo le scuole di II grado sono apparse in lieve ritardo.
Quanto agli altri indicatori, il calo dei consumi (-11,1%, con trasporti, tempo libero e abbigliamento i comparti più colpiti) è risultato quasi cinque volta maggiore rispetto a quello del reddito disponibile (-2,3%), fenomeno che prelude a una crescita delle disuguaglianze, attutita dalle misure di integrazione salariale e dalle indennità erogate ai lavoratori.

A fronte di depositi in salita del 37% a fine 2020, rallenta il credito alle famiglie: c’è una lieve ripresa dei mutui casa a fronte di un calo dei prestiti personali. «La dinamica delle imprese è più robusta – spiega la ricercatrice Lucia Lucci – sostenuta dalle garanzie statali che hanno coperto circa un terzo delle erogazioni». L’incognita è la qualità del credito che per ora non sconta gli effetti della crisi e il tasso di deterioramento è rimasto basso nel 2020 (9,8% del totale). «Nel sistema bancario cresce però il rischio creditizio percepito e sale anche la copertura dei prestiti deteriorati».

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