Economia e Covid, Il 42% delle imprese in ginocchio, ma una su tre ha reagito

Economia e Covid, Il 42% delle imprese in ginocchio, ma una su tre ha reagito
di Fabio Nucci
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Domenica 21 Marzo 2021, 09:45

PERUGIA - Nonostante lo shock che la Covid-crisi ha causato, un’impresa su quattro ha trovato la strategia per reagire ed espandersi, una su tre è più attendista ma la sua resilienza è messa a dura prova. La faccia di un poliedro dalle sfumature anche oscure considerando che nel 42% dei casi le realtà regionali hanno subito pesantemente l’impatto dell’emergenza sanitaria. Per tutte l’uscita dalla crisi passa dal superamento delle criticità dovute alla riduzione della domanda interna e alla carenza di liquidità.
Il cammino verso la rinascita per le imprese maggiori si prospetta meno complesso, almeno stando alla mappa della crisi composta dagli economisti Aur Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia. «La crisi pandemica non ha colpito in modo uniforme i settori produttivi e differenziata è stata la capacità reattiva delle imprese anche all’interno dello stesso settore». Aspetti approfonditi in un focus Aur che parte dall’indagine Istat di dicembre nella quale sono individuati 5 profili aziendali che dividono le imprese in statiche (resilienti o in crisi) e proattive (in sofferenza, espansione o avanzate). In base a tale classificazione, Tondini e Casavecchia hanno composto l’assetto produttivo regionale quantificando ogni profilo con la quota sul totale delle imprese e di addetti, collocandolo su una mappa che tiene conto anche delle dimensioni in termini di valore aggiunto prodotto. In tale visione, le imprese statiche, che non hanno reagito alla crisi, sono le più numerose: circa due terzi del totale, come in Italia. Impossibilitate ad abbozzare una reazione sistematica alla Covid-crisi, tali realtà tuttavia esprimono anche capacità occupazionali inferiori. «Le imprese proattive, che hanno adottato un quadro strategico di reazione – spiegano i due economisti – rappresentano la parte rimanente, circa il 35% del totale, e corrispondono al 58% di addetti e a ben il 65% di valore aggiunto. Questo lascia intendere una maggiore predisposizione alla reattività tra le realtà più robuste, per dimensione e capacità produttiva». In particolare, le imprese proattive in espansione (colpite lievemente dalla crisi, non hanno cambiato il loro sentiero di sviluppo) sono il 18,9% del totale col 28,7% di addetti; le proattive avanzate (colpite in maniera variabile, hanno reagito investendo) il 7,4% col 17,5% di addetti; le proattive in sofferenza (duramente colpite hanno adottato strategie sistematiche di reazione), il 10,5% con l’11,9% di addetti.
Volendo raggruppare il sistema produttivo umbro in base alle conseguenze dell’emergenza sanitaria, la quota di imprese in difficoltà (sia statiche che proattive) è del 42,2%, quella delle proattive del 26,2%, con uno zoccolo duro di realtà più statiche ma resilienti, del 31,5%. «In tale tripartizione – spiegano Tondini e Casavecchia – le imprese in difficoltà che pure rappresentano il gruppo più nutrito esprimono un peso più limitato sia in termini occupazionali (31% di addetti), sia reddituali (21% del valore aggiunto). Di contro vi è un 26% di imprese proattive che assorbono il 46% di addetti, esprimendo il 56% del valore aggiunto totale. Questo conferma che “forza economica” e “stato di salute” di un’impresa sono direttamente proporzionali alle dimensioni».
L’impatto dell’emergenza sanitaria, quindi, è stato più severo tra le Pmi ma questo anche perché in tale gruppo si concentrano i settori più penalizzati da chiusure e restrizioni. «L’articolazione settoriale – si osserva nel focus Aur – vede una maggior concentrazione di imprese in difficoltà negli Altri servizi (dove si collocano ricettività e ristorazione, ndr) e nelle Costruzioni. Anche la resilienza, pure diffusa tra tutti i settori, è più presente nell’edilizia, mentre le proattive trovano una maggior concentrazione nell’industria e nel commercio». Tra le imprese degli Altri servizi si ritrova anche la maggiore concentrazione di risposte legate agli effetti (negativi) previsti entro giugno 2021: il 47,7% immagina una riduzione della domanda causa restrizioni, il 42,4%, “seri rischi di liquidità” e il 41,4% “rischi operativi e di sostenibilità”. L’industria, invece, teme i contraccolpi della riduzione della domanda interna ed estera, il commercio i protocolli sanitari, mentre le costruzioni ritengono di poter proseguire l’attività senza subire particolari effetti negativi

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